Prescrizione e soldi smarriti. Sono questi i due punti dolenti della sentenza del processo del Mose secondo il parlamentare veneto del Movimento 5 Stelle Federico D’Incà.
“Facciamo i conti della serva – spiega D’Incà – anche perché non occorre mica essere dei premi Nobel per capire che qualcosa non quadra in tutta questa vicenda. I 31 imputati dello scandalo Mose hanno patteggiato complessivamente la restituzione di 12 milioni e 700 mila euro”.
“Lasciamo stare il fatto che alcuni degli imputati risultino essere praticamente nullatenenti, e andiamo avanti con i conti – sottolinea il deputato – nell’ultima sentenza sono emerse richieste di risarcimenti per altri 20 milioni di euro. Il che porta il conto a poco meno di 35 milioni di euro”.
“35 milioni di euro contro i mille milioni di euro che sono affondati nel gorgo del Mose – dice D’Incà – allora io voglio sapere dove sono finiti gli altri 965 milioni di euro che mancano all’appello. Ma sapete quante cose avremmo potuto fare con tutti quei soldi? Credo che giovani, pensioni, asili, lavoro, famiglie e tanti altri argomenti che hanno bisogno di aiuto avrebbero meritato quel denaro, che invece è finito in qualche conto cifrato chissà dove”.
L’altro scandalo che emerge dalla conclusione del processo di primo grado è legato alla prescrizione.
“In questo Paese non è possibile arrivare sempre alla prescrizione, questa spada di Damocle va cambiata – sbotta D’Incà – noi lo diciamo fin dall’inizio della legislatura, che questo meccanismo va sistemato”.
Il Movimento 5 Stelle propone di fermare la prescrizione al momento del rinvio a giudizio o alla sentenza di primo grado, come richiesto dall’Associazione dei magistrati e dall’Antimafia.
“Oltre a questo, da mesi chiediamo al Ministero della Giustizia e al Csm – rivela il parlamentare – un aumento del personale amministrativo, di magistrati e polizia giudiziaria nei tribunali e nelle Procure del Veneto per far fronte alla vastità e complessità dei procedimenti in atto, dalla sciagura delle banche venete al Mose”.