Un No secco al referendum costituzionale del 4 dicembre. Lo hanno detto attraverso una serie di interventi, prima il costituzionalista Daniele Trabucco e poi il senatore Giovanni Piccoli, ieri sera, giovedì 3 novembre, sera nella Sala parrocchiale di Cavarzano (Belluno), facendo a pezzi le motivazioni del sì.
Citando Piero Calamandrei, avvocato, giurista, membro dell’Assemblea costituente nel 1946, Trabucco ha ricordato che “sulle riforme costituzionali i banchi del governo dovrebbero rimanere vuoti”. Benché legittima, infatti, la riforma costituzionale Boschi-Renzi – secondo Trabucco – non è condivisibile sotto il profilo politico, poiché la Costituzione dovrebbe essere riformata dal Parlamento, non già su iniziativa del governo.
“Non ci sarà il quorum – ha fatto presente il professor Trabucco – e quindi l’esito del voto sarà valido con qualsiasi percentuale di votanti”.
Le autonomie locali (come Trento e Bolzano ndr), se dovesse passare il sì, ne uscirebbero blindate e rafforzate! I presidenti delle regioni a statuto speciale sarebbero addirittura sottratti al potere sostitutivo dello Stato (art.39), come dire che qualsiasi nefandezza commettessero, lo Stato non potrebbe intervenire rimuovendoli dall’incarico. Nemmeno la montagna avrebbe alcun beneficio dalla vittoria del Sì perché non avrebbe alcun riconoscimento nella nuova Costituzione.
Ad affondare del tutto il progetto di riforma costituzionale ci ha pensato il senatore Piccoli, che senza mezzi termini ha detto:
“Il cuore della riforma è quello di ridurre il potere di intervento del popolo. Non vogliono farci votare (è successo per la Provincia, ora si toglie il voto per il Senato) perché il disegno di sviluppo che ha in mente il governo corrisponde a quello dettato dai poteri forti internazionali, come JP Morgan, la società finanziaria con sede a New York, che il 28 maggio del 2013 in un documento di sedici pagine da titolo “Aggiustamenti nell’area euro” tracciò le linee guida per la modifica delle Costituzioni degli stati europei. Ecco cosa si legge a pagina 12 e 13 del documento: “Quando la crisi è iniziata era diffusa l’idea che questi limiti intrinseci avessero natura prettamente economica. Ma col tempo è divenuto chiaro che esistono anche limiti di natura politica. I sistemi politici dei Paesi del Sud, e in particolare le loro Costituzioni, adottate in seguito alla caduta del fascismo, presentano una serie di caratteristiche che appaiono inadatte a favorire la maggiore integrazione dell’area europea”.
Del resto, ha sottolineato il senatore Piccoli, Confindustria appoggia il Sì. Vogliono mano libera nelle decisioni. Inoltre, la modifica costituzionale affiancata al sistema elettorale Italicum produrrebbe una combinazione dirompente. Il segretario del partito che vince le elezioni avrebbe in mano il Paese. Deciderebbe il futuro presidente della Repubblica, e la nomina di 5 giudici della Corte Costituzionale (altri 5 li nomina il Parlamento, quindi ancora sotto il controllo del segretario del partito vincitore, e 5 decisi da un collegio formato da Corte di Cassazione, Consiglio di Stato e Corte dei Conti).
Con il sistema elettorale Italicum – ha detto il senatore Piccoli – avremmo un uomo solo al comando. Perché sì dà la maggioranza dei seggi alla Camera a quel partito che ha solo un 15% di consensi sugli aventi diritto al voto, pari pressappoco al 30% dei votanti. E non è nemmeno vero che si abolisce il bicameralismo – ha detto ancora Piccoli – visto che la riforma consegnerebbe 20 materie di grande rilevanza al nuovo senato composto da 100 membri di cui 74 consiglieri regionali, 21 sindaci e 5 senatori a vita.
Sconcertante infine la sterzata centralista che si andrebbe a delineare con questa riforma costituzionale. Energia, turismo, ambiente, protezione civile, formazione professionale, tutela del territorio, tutte materie che passerebbero di competenza allo Stato, con l’effetto di una minore qualità dei servizi.