Il 6 ottobre ricorre il 73° anniversario dell’eccidio perpetrato sull’isola di Kos, in Grecia di 103 ufficiali italiani, vittime incolpevoli della barbarie nazista. Dopo l’armistizio tra l’Italia e gli Alleati dell’8 settembre, truppe britanniche sbarcarono sull’isola per dar manforte alle forze italiane, due battaglioni del 10.mo reggimento di fanteria ‘Regina’ al comando del colonnello Felice Leggio, temendo un’invasione tedesca.
Ma quando, il 3 ottobre, la 22.ma divisione aviotrasportata della Wehrmacht attaccò l’isola, lo scarso coordinamento tra italiani ed inglesi permise una rapida vittoria delle forze tedesche agli ordini del generale Friedrich-Wilhelm Mueller. Fatti prigionieri, gli ufficiali italiani vennero interrogati in una caserma dello stesso esercito italiano, oggi in rovina poco fuori dalla città di Kos: fu detto loro che sarebbero stati imbarcati su una nave ed avviati alla prigionia. Erano in 148, e solo sette passarono con i tedeschi. Altri fuggirono nella vicina Turchia. I restanti 103, mentre si avviavano con le valigie verso una nave che non c’era, furono fucilati il 6 ottobre nella pianura di Linopoti e sepolti in fosse comuni.
Per quel massacro Mueller fu processato per crimini di guerra ad Atene, alla fine della guerra, condannato a morte e giustiziato nel 1947. Uno dei più grandi crimini della seconda guerra mondiale che come tanti è rimasto dimenticato ma che dovrebbe essere ricordato almeno nel suo anniversario, commenta Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, per far conoscere a quanti continuano ad inneggiare a nazismo e fascismo, anche tra gli italiani, quale fu il caro prezzo pagato a causa dell’esaltazione e della barbarie anche nei confronti di chi aveva combattuto poco prima, fianco a fianco.