Un viaggio di duecento anni in duecento pagine alla ricerca di una rosa misteriosa. Lo ha fatto venerdì sera Andrea di Robilant, giornalista scrittore, al Ciglio di Belluno, rifugio a bassa quota dell’Agriturismo Casa de Bertoldi a Castion per l’evento organizzato da Guido Beretta.
Presentato da Angelo Pauletti (ex assessore alla Cultura di Feltre), l’autore ha raccontato i dettagli della nascita del suo libro dal titolo “Sulle tracce di una rosa perduta.Uno scrittore. Un fiore misterioso. Un viaggio tra storia e giardini”. (ed. Corbaccio).
Tutto ha origine da una scatola di scarpe lasciata dal padre (il conte Alvise di Robilant, ucciso a Firenze nel 1997, al III piano di Palazzo Rucellai dove abitava), contenente le lettere scritte della quadrisavola Lucia Memmo, moglie di Alvise Mocenigo e amica di Josephine de Beauharnais moglie di Napoleone Bonaparte. Cui segue la scoperta di altre 1500 lettere conservate alla Biblioteca di Bergamo, che Lucia scrisse alla sorella Paolina dal 1770 al 1850.
A colpire Andrea di Robilant, è innanzitutto la scrittura raffinata di Lucia, o Lucietta (così chiama la sua quadrisavola), al punto di decidere di intraprendere un viaggio a ritroso nel tempo, nei luoghi citati dalla sua antenata. A Parigi l’autore ritrova anche il diario che Lucia tenne durante il soggiorno nella capitale francese dal 1813 al 1814. La donna, infatti – racconta di Robilant – aveva sofferto molto per il distacco dal figlio Alvisetto che, com’era prescritto a quel tempo alle famiglie patrizie, aveva dovuto lasciare Venezia per intraprendere gli studi ai licei di Parigi. Così convince il marito Alvise a raggiungere il figlio. I fine settimana Lucia li trascorre al castello di Malmaison, dove aveva stabilito la sua residenza la sua amica Josephine dopo il divorzio da Napoleone. E’ qui che Lucia si appassiona alle rose, nel parco ce ne sono oltre duecento varietà. Frequenta i corsi tenuti da Renè Desfontaine docente alla cattedra di botanica al Jardin des Plantes, impara dai vivaisti monsieur Du Pont la tecnica dell’innesto e André Thouin la messa a dimora delle piante. Fino ad ottenere il diploma. Lucia annota tutto nel suo diario. Nel 1814 cade l’impero, Napoleone fugge e quindi viene meno anche l’obbligo del giovane Alvisetto di frequentare le scuole francesi. Lucia allora torna a casa con il figlio e due carrozze, portandosi 200 varietà di rose e al seguito. Il marito Alvise Moncenigo, nel frattempo, aveva dato vita al suo progetto “Alvisopoli” iniziato nel 1795 con la bonifica delle terre paludose ad una ventina di chilometri da Portogruaro dove crea successivamente un borgo autonomo brulicante di attività. “Alvise vede il declino della Repubblica di Venezia – spiega di Robilant – e dà vita a questa sua utopia di una città alternativa, fondata su ideali illuministi”. Una comunità agricola e manufatturiera autonoma, con case per i contadini, scuola, ospedale e anche una stamperia. E’ qui che Lucia mette a dimora le sue rose e trasforma il bosco in un parco proiettato nel futuro, con uno stile che influenzerà i parchi veneti dell’800. “Anche la cultura delle rose ebbe un grande impulso nell’800 – racconta di Robilant – il 90% delle varietà conosciute erano cinesi, perché a differenza di quelle europee rifiorivano. Le navi inglesi provenienti dall’oriente, anche dopo la caduta di Napoleone, si incontravano con i vascelli francesi nel canale della Manica per scaricare le rose di Josephine (l’ex moglie di Napoleone).
Andrea di Robilant si reca quindi nell’antico borgo di Alvisopoli, nella frazione di Fossalta di Portogruaro. Dopo la morte del conte Alvise Mocenigo (1815) e della moglie Lucia (1854) la proprietà passa al figlio Alvisetto, e poi al nipote (nonno dell’autore) che nel 1930 per pagare i debiti, decide di vendere. Nel 1970 Villa Mocenigo viene trasformata in alloggi popolari dell’Ater di Venezia. “Ebbene – racconta di Robilant – , di tutto quel mondo di Lucia, oggi non è rimasto nulla, tranne quel particolare tipo di rosa”. Durante il sopralluogo ad Alvisopoli, Andrea di Robilant incontra Benito, una sorta di tuttofare che abita in un appartamento al pianterreno della villa con la moglie Giuditta. Sarà lui a portarlo dietro la villa, negli orti abbandonati e nel bosco dove un tempo c’era un parco importante, dal quale si vedono a perdita d’occhio quelle splendide rose argentate del diametro di 5-6 centimetri. “La gente del borgo da sempre si chiede a quale varietà appartengano – dice Benito a di Robilant – qui la chiamano ‘rosa moceniga’ ”.
Sarà Giutitta, la moglie di Benito, nel congedarsi a regalare una piantina a di Robilant.
“Quella rosa moceniga piantata nel giardino di casa in Giudecca dove abito – racconta di Robilant – è diventata un cespuglio miracoloso con migliaia di fiori. E di lì sono iniziate le mie ricerche”. Si dice che a diffondere questa rosa cinese non identificata sia stato l’architetto Paolo De Rocco, che di notte segretamente la piantasse nella Bassa friulana. Il De Rocco contattò anche Eleonora Garlant, detta “la signora delle rose” per il suo giardino che ne conta 1600 varietà. Ma nemmeno lei ne conosceva la classificazione. “Una bengalese, mutazione di old blush” disse, riservandosi però di inoltrare la singolare rosellina a Francois Joyaux, professore emerito di Civiltà orientare all’Istituto Nazionale di Lingue e Civiltà orientali, docente all’Università di Parigi e collezionista di rose antiche, oltre che autore di molti testi e direttore di un trimestrale francese dedicato alla Rosa gallica. Il professore non ha dubbi, la rosa moceniga non è una mutazione, ma una varietà antica andata perduta a Parigi e ritrovata ad Alvisopoli. Delle tremila varietà di rose galliche censite all’inizio dell’800 dall’ibridatore Noisette, oggi ne sopravvivono 300 e la moceniga è una di quelle estinte nel suolo francese.
Il viaggio alla ricerca della rosa misteriosa termina quindi in un libro. Ma la storia ha un ulteriore sviluppo.
Perché durante la presentazione del libro in Australia, ad Andrea di Robilant viene detto: “lei deve fare il profumo di questa rosa moceniga”. Così al rientro a Venezia di Robilant incontra la famiglia Vidal, celebri profumieri di fine ‘800, il cui marchio diventerà famoso nelle pubblicità televisive degli anni ’70 del bagnoschiuma Pino Silvestre Vidal con il cavallo bianco, alla quale illustra la sua proposta.
Per una strana congiuntura del destino, inoltre, oggi a Palazzo Mocenigo a Venezia (appartenuto quindi agli antenati di Robilant) sono allestite 5 sale dedicate alla nuova sezione del profumo, fortemente voluta da Mavive, azienda veneziana della famiglia Vidal. “Il simbolo della famiglia Mocenigo inoltre – precisa di Robilant – sono proprio due rose”.
La risposta della famiglia Vidal a di Robiland non trada ad arrivare: “ci sembra un’ottima idea”.
“In tre mesi era tutto fatto – conclude Andrea di Robilant – nasce così il profumo “rosa moceniga”.
(rdn)