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La legione di Col Visentin costituita nel 1917 dal capitano Luigi Ardoino “El Nino”

Luigi Ardoino
Luigi Ardoino

“Antologia del valore italiano. Le bande armate del Col Visentin”. E’ il titolo dell’articolo pubblicato dal Corriere della Sera del 23 novembre 1933 nel quale si racconta la storia di “personaggi d’ogni risma, di opposti sentimenti, vecchi e ragazzi, gendarmi e preti, soldati italiani tagliati fuori dall’invasione e prigionieri fuggiti dai campi di concentramento. Spie controspie, travestimenti, piccioni viaggiatori”. Con protagonista un capitano dei bersaglieri su cui pende una taglia di 30mila corone (pari a circa 486mila euro odierni), che per un anno, dal novembre 1917 al novembre 1918, è al centro di una vasta cospirazione.

Ebbene, domenica 19 novembre del 1933, nel corso dell’incontro solenne, il podestà di Limana ha consegnato il diploma di cittadino onorario al tenente colonnello dell’8vo bersaglieri Luigi Ardoino, che 16 anni prima arrivò lacero e fradicio, tagliato fuori dal suo reparto con il quale aveva tentato invano di congiungersi dopo i combattimenti avvenuti a Ponte nelle Alpi. Ad accogliere l’ufficiale è la famiglia di Antonio Orzetti – marito moglie e otto figli il primogenito del II° Granatieri, caduto sul Carso – che sentono bussare alla porta mentre stanno cenando con polenta e radicchio. Luigi Ardoino racconta la sua storia, nato a Deglio Faraldi, in provincia di Imperia, era bersagliere a Sciara Sciat nel 1911 in Libia, durante quella terribile notte della battaglia prese il comando di ciò che era rimasto di una compagnia decimata e da sergente ottenne la promozione per meriti di guerra al grado di sottotenente. Il suo ritratto con il casco coloniale e le piume è pubblicato anche dalla Domenica del Corriere. Sentita la storia, la famiglia Orzetti, non ha dubbi e gli forniscono degli abiti da contadino. Inizia così la vita alla macchia del capitano Ardoino. Gli eventi che lo coinvolgeranno non tardano a presentarsi. Il 17 novembre 1917 a Tassei si verifica un grave episodio. Stanchi delle requisizioni di bestiame e derrate alimentari degli austriaci, alcuni uomini si ritrovano nell’osteria di Rachele Reolon e giurano di vendicarsi. Poco dopo, infatti, armati di fucili e bombe aprono il fuoco su una pattuglia di soldati austriaci. L’indomani all’alba il paese veniva circondato e tutti gli abitanti esclusi vecchi e bambini imprigionati nelle carceri di Baldenich (Belluno) e poi deportati. Molti di loro non fecero più ritorno compresa Rachele Reolon che aveva partecipato all’organizzazione della sommossa. Il capitano Ardoino travestito da contadino inizia la sua missione. Insegna alla popolazione come nascondere le derrate alimentari in buche mimetizzate, parla con la gente per risollevare il morale. Fa scuola ai bambini riunendoli nelle stalle, lo chiamano “el Nino” e sono pronti ad avvisarlo appena vedono i gendarmi. La notizia che un capitano dei bersaglieri si nasconde sulle pendici del Visentin arriva al comando austriaco di Mel. Ma l’ufficiale è inafferrabile grazie alla totale complicità della popolazione locale. A Giacomo Tormen, 70enne di Limana, cavaliere della Corona d’Italia, assessore anziano, presenza imponente, condotto nella stanza del segretario comunale a Dussoi dove aveva sede il Comune di Limana, viene intimato di rivelare il luogo dove si nasconde il “capitano spione”. “Signore – risponde Tormen – fucilatemi anche subito. Io non so nulla di nulla”. Appena a casa Giacomo Tormen invia un biglietto tramite un messo per Vittorio Piol in Valmorel, per avvisare “el Nino”, di stare all’erta.

In Valmorel si vive come un secolo fa – scrive il cronista del Corriere – con il lume a petrolio perché non c’è abbastanza domanda di lampade per collegare con l’energia elettrica. In certi inverni le finestre del primo piano non si aprono nemmeno perché la neve oltrepassa l’altezza di un uomo in piedi. Anche l’altro giorno ne ha fatta 20 centimetri ma stasera c’è un’aria tiepida da estate di San Martino. Nella cucina della vedova Melanco, con la rotonda bellunese, cioè il giro di panche intorno al focolare dove risfavilla la fiamma nei rami lustrati con una poltiglia di farina e aceto fino dalla vigilia dei Santi, arriva da un casolare vicino, sporgente al precipizio, l’assessore Vittorio Piol. Lungo, asciutto, con un grande cappello, un occhio che vede anche di notte e una memoria di uccellatore. E’ uno della “Banda del Visentin”, decorato con Medaglia di Bronzo al Valor militare per essere andato all’assalto insieme con gli Arditi. “Le cose cominciarono a mettersi male dopo la spedizione dei colombi – racconta Vittorio Piol – in luglio 1917 un ragazzo andò sul monte Cor e trovò dei colombi racchiusi in cestini con le istruzioni per corrispondere con il nostro comando. Me ne portò tre che feci avere al capitano e vidi la sua espressione felice. Prima dell’offensiva di giugno egli aveva buttato nel Piave più di 300 bottiglie con notizie militari, ma non avemmo mai segno di ricevuta. Con i colombi si poteva comunicare meglio. Ma anche i “Mucc” (così erano chiamati gli austriaci ndr) lo vennero a sapere e mi arrivarono i gendarmi a mettere sottosopra la casa. Cercate un capitano chiesi loro? L’hanno impacchettato e portato via 4 mesi fa. Quello di adesso è uno scroccone che si spaccia per capitano. “Chi essere quella vecchia con naso lungo” chiese un graduato. “Una povera matta che aiuta le mie donne” risponde Vittorio Piol. Che precisa al cronista “Così truccato con un fazzoletto che lasciava fuori solo occhi e naso il capitano non era certo una donna da far venire le tentazioni”.

“Il capitano Ardoino aveva costituito un battaglione di volontari detto la ‘Banda di Col Visentin’ costituito da prigionieri italiani fuggiti, e borghesi. Io facevo parte dello Stato maggiore, Il 31 ottobre, quando si capì che il nostro esercito stava avanzando sul Piave, venne dato l’ordine di impugnare le armi ed iniziare la guerriglia alle spalle degli austriaci. Bisognava avvertire il sergente maggiore Sacchet e il suo plotone a Sant’Antonio Tortal che andasse con le mitragliatrici a San Boldo. A portare il messaggio nascosto dentro la calza è stata questa giovane, Angelina Melanco, passando tra le truppe nemiche.

Per un anno, insomma, il capitano Ardoino tenne alto il morale di una popolazione oppressa, armò di nascosto alcune centinaia di uomini, tenne i contatti con i comandi militari e fece arrivare viveri con gli aerei. E nei giorni precedenti alla vittoriosa offensiva ebbe la soddisfazione di attaccare il nemico prima che si affacciassero sul Visentin le truppe regolari. Gli uomini del capitano, infatti, disponevano anche di 5 mitragliatrici, due sottratte ad un aereo austriaco precipitato nella zona. La legione dei volontari di Col Visentin ebbe anche una bandiera, confezionata dalla giovane Angelina Melanco, vedova di un alpino caduto nel 1915 sul Monte Piana. Nei giorni della battaglia di Vittorio Veneto, i legionari combatterono a Valmorel e San Boldo all’arma bianca tagliando la ritirata degli austriaci.

Roberto De Nart

Per saperne di più:

http://www.bersaglieri.net/cap-l-ardoino-fiducia-in-se-stessi-fino-alla-presunzione/

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