Doveva essere Giuseppe Bottai il nuovo leader che in un sol colpo abbatte nazismo e fascismo. Lo rivela un documento segreto del 1944 del sottosegretario alla presidenza Francesco Maria Barracu.
Il 19 luglio del 1943, sei giorni prima della notte del Gran Consiglio (la riunione inizia alle 17,15 del 24 luglio 1943 e termina alle 2:30 del 25 luglio) con l’ordine del giorno di sfiducia presentato dal gerarca Dino Grandi, Mussolini doveva morire insieme a Hitler in quello che è passato alla storia come il convegno di Feltre. In realtà l’incontro avviene a Villa Gaggia, in località Socchieva frazione San Fermo (Belluno).
Del progetto dell’attentato, anni fa abbiamo raccolto la testimonianza diretta di uno dei protagonisti, Armando Bettiol, custode delle bombe, che ipotizza un contrordine suggerito dal Vaticano per evitare di consegnare l’Italia all’ala comunista dei partigiani. Poi c’è la testimonianza resa da Mosca al Corriere della Sera del giornalista sovietico Kolosof, corrispondente da Roma dell’Izvestija nel ’43, che si discosta solo in alcuni dettagli all’ipotesi di intervento degli alpini nell’attentato formulata da Bettiol.
Quella che andiamo a raccontare, dunque, è la terza ipotesi ricostruita sulla base di un articolo uscito sul Corriere d’Informazione del 1946 che lascia intravedere la regia di Giuseppe Bottai, la mente migliore del fascismo, intellettuale, poeta, giornalista, reduce, ex ardito, legionario, gerarca fascista eletto deputato nel 1924, due volte ministro (1929-32 e 1936-43) e professore di diritto corporativo nelle Università di Pisa e Roma, oltre che massone della Serenissima Gran Loggia di Rito scozzese. Interventista nella I^ Guerra mondiale, Bottai è contrario all’intervento nella Seconda guerra mondiale. Fu tra i sostenitori dell’ordine del Giorno Grandi, che sfiduciò Mussolini la “Notte del Gran Consiglio”. Bottai, dunque, vuole chiudere con il Fascismo e liberarsi di Mussolini. Affrontarlo a viso aperto, evidentemente, sarebbe stato troppo rischioso, quindi preferisce elaborare un piano concordato con altri gerarchi. Anche perché, in caso di fallimento, le indagini del Regime si sarebbero indirizzate verso l’antifascismo, le formazioni partigiane e gli agenti segreti anglo-americani.
A rivelare questa ipotesi del complotto è un documento segreto contenuto nel dossier del sottosegretario alla presidenza Francesco Maria Barracu, insignito di Medaglia d’oro al valore. Barracu, dopo l’8 settembre del ’43 rimane fedele a Mussolini aderendo alla Repubblica Sociale Italiana. Sarà fucilato a Dongo il 28 aprile del ’45 e poi esposto a Piazzale Loreto con Mussolini e gli altri gerarchi Nicola Bombacci, Idreno Utimperghe, Alessandro Pavolini, Vito Casalinuovo, Paolo Porta, Fernando Mezzasoma, Ernesto Daquanno.
Nel rapporto che Barracu trasmette al Duce nell’agosto del 1944 contenuto nel dossier a suo nome, si legge: «Tutti conoscevano che Bottai non era uomo di fiducia del governo fascista, e tanto meno che era fedele a Mussolini, come voleva dimostrare in ogni cerimonia e occasione. Il fratello di un amico di Bottai – amico acquisito nel campo artistico e difeso dallo stesso gerarca a spada tratta dinanzi a tutti – certo avvocato Piero Tibertelli de Pisis, proprietario di numerose ville a Ferrara, Piacenza e in altre località, sia al mattino del 27 luglio 1943 che fino a qualche settimana fa, continuava a dire che coloro che prepararono il colpo il 25 luglio, hanno mancato in pieno al loro fine, giacché il loro scopo era la soppressione di Hitler e Mussolini al momento del loro incontro a villa Gaggia di Feltre. Secondo l’avvocato De Pisis, ed anche in base a qualche altra notizia raccolta a Belluno, era stato distaccato un battaglione degli alpini, alla qual cosa avrebbe partecipato in primo piano Bottai, che il giorno dell’incontro doveva tentare il colpo grosso, e cioè sopprimere i due capi della Germania e dell’Italia. Il giorno prima dell’Incontro, però, il battaglione di alpini venne trasferito altrove, perché si pensava che l’incontro non doveva più avvenire a villa Gaggia, ma in un’altra località. Si è anche appreso, ma da altra fonte poco fidata, che il proprietario della villa, l’ingegner Gaggia, intimissimo amico del conte Volpi, avrebbe partecipato in pieno al tentativo di uccisione dei due condottieri; e che l’offerta di mettere a disposizione la villa era stata fatta con tale recondito scopo».
Perché la scelta di Villa Gaggia per l’attentato
«Quando il Duce afferma nella sua “Storia di un anno”, e precisamente al punto dove dice che per ragioni di protocollo inspiegabili era stata scelta proprio la villa Gaggia e che ci si doveva colà recare, sempre per il protocollo che così aveva stabilito, troverebbe piena conferma nelle notizie fornite, assunte direttamente dal De Pisis e anche da un suo amico, certo Pollastrelli». Il rapporto, datato 3 agosto 1944, fu segnalato a Mussolini soltanto il 26 dello stesso mese. Il Duce fece subito portare il fascicolo» riguardante l’ingegner Gaggia, ma non vi trovò nulla di sensazionale.
Ogni figura in vista, infatti, aveva una propria pratica al ministero dell’Interno repubblichino, ed anche prima.
Il fascicolo catalogato al numero 48 non conteneva che tre foglietti di carta velina con le copie del rapporto del 6 novembre del 1943 di un informatore, relativo a una segnalazione di Barracu al capo della polizia Tamburini, redatta in base al rapporto fiduciario datata 16 novembre. E della risposta del Tamburini dopo l’esito delle indagini. Tali indagini devono essere state laboriose perché il capo della polizia aspettò sette mesi a rispondere, ossia fino al 17 giugno 1944. Il rapporto dell’informatore diceva: «Gaggia: si identifica nell’ex senatore Achille Gaggia fu Bartolomeo e fu Paoletti Maria, nato a Feltre il I° marzo 1875, ingegnere, impresario, industriale, milionario con domicilio a Roma al Largo Tartini 4 in una palazzina di sua proprietà, e con residenza a Venezia, Calle del Traghetto S. Moisè 2107. E’ un individuo di scaltrezza massima; ha collaborato con Cini per la zona industriale di Roma e per la preparazione dell’esposizione universale. Interessato nelle imprese che il Volpi ha a Mestre, nella Società Adriatica di Navigazione ed Adriatica di Sicurtà, nonché in tutte le altre imprese del binomio Volpi Cini. Dato che il Gaggia poca attività ha svolto a Roma, dove agivano gli agenti di Volpi. Non si sono potuti raccogliere altri elementi».
L’esito delle indagini fatte svolgere dal capo della polizia per ordine di Barracu fu una delusione per il sottosegretario alla Presidenza e quindi per Mussolini stesso, il quale evidentemente doveva sospettare del Gaggia già prima della rivelazione del complotto ordito dal Bottai in occasione del convegno di Feltre.
«L’ex, senatore Achille Gaggia – diceva Tamburini nella sua risposta – era uno dei principali azionisti delle Società appartenenti al gruppo Volpi-Cini. In Venezia è ritenuto individuo molto facoltoso, di carattere caritatevole e generoso. Difatti risulta abbia dato ingenti somme per gli ospedali di Feltre e Belluno e per vari istituti di beneficenza. Non sono risultati, né a Roma né a Venezia, elementi atti a confermare gli addebiti segnalati».
L’incontro di Villa Gaggia
Il convegno di Feltre si svolse Il 19 luglio 1943. Ossia alla vigilia del crollo dei regime fascista, quando l’arresto di Mussolini era già stato deciso dal Re. Perché l’appuntamento venne fissato proprio a villa Gaggia?
Innanzitutto si sapeva che Hitler e il suo seguito sarebbero giunti in aereo. Non era dunque questione di distanze. Chi suggerì la scelta di villa Gaggia? Appurato questo particolare, non sarà difficile risalire le fila del complotto. L’incontro tra italiani e tedeschi avvenne al campo di aviazione di Treviso. Mussolini era accompagnato dal generale Ambrosio, Alfieri, Bastianini e il colonnello Cordero di Montezemolo in veste di interprete, e che più tardi, nella lotta clandestina doveva assumere un ruolo importantissimo. Venne poi arrestato, torturato e ucciso dai tedeschi. Il convegno di Villa gaggia iniziato alle 10 del mattino, termina alle prime ore del pomeriggio. Occorrevano due ore di auto per raggiungere il campo d’aviazione di Treviso e Hitler non voleva viaggiare al buio. Il convegno vero e proprio al quale parteciparono con Hitler e Mussolini le gerarchie al seguito, durò dalle 10 alle 13, ma a parlare è sempre e solo Hitler, che ammonisce e minaccia. Il Duce, ammesso che avesse interesse a fare la parte dell’alleato, non apre bocca. Poi i due dittatori si appartano per una colazione. Il servizio di vigilanza all’esterno, per non dare nell’occhio e confidando nella segretezza del convegno, non era tale da costituire un ostacolo serio ad un attentato ben organizzato.
Perché all’ultimo momento gli alpini furono spostati? Si credette davvero che il luogo del convegno fosse stato spostato? Oppure chi aveva progettato l’azione rinunciò al coraggioso piano e perché? Secondo le rivelazioni contenute nel dossier, l’azione doveva essere eseguita da truppe regolari, è da supporre quindi che qualcuno da dietro le quinte fosse in grado di influire sull’esercito.
Roberto De Nart