Sono in una piccola libreria di paese, in provincia di Belluno; sono venuta qui su suggerimento di un amico che mi ha consigliato una sosta presso il proprietario della vecchia cartoleria e libreria, un anziano signore conoscitore esperto della montagna e delle sue storie. Appena entro, mi presento e gli chiedo se mi possa raccontare qualche leggenda, qualche storia che qui un tempo gli anziani narravano ai propri figli e nipoti, magari nel caldo della stalla. Non c’erano termosifoni, allora, solo il fiato e il calore degli animali. Acconsente con piacere e chiama sua figlia, una signora sulla cinquantina, pronta a seguire gli eventuali clienti: in realtà per tutta la durata della mia sosta in libreria non ne arriva nessuno, fatto salvo un ragazzino, forse in età da elementari, che chiede un quadernino a righe.
Il proprietario mi parla di un gigantesco dragone volante, chiamato Scrik, che col suo unico occhio rosso e luminoso affascinava uomini e animali e col fiato velenoso diffondeva la morte. Viveva in una vasta grotta. Quando ne usciva erano valanghe, inondazioni e la distruzione di intere montagne, dei boschi, di villaggi.
Già me lo immagino come uno di quei mostri ne Il signore degli anelli o altri film o romanzi di fantasy. Poi mi racconta – continuando la storia – di un certo Singo, un menestrello di altri tempi, una sorta di pifferaio magico della favola dei fratelli Grimm; arrivò in paese ed educò due sorelle sin da bambine a smuovere anche i cuori più duri della pietra. I loro modi erano gentili, le loro menti aperte e raffinate, il loro cuore generoso, doti che facevano risaltare anche di più la loro delicata bellezza. I valligiani le chiamavano “le Figlie delle Nevi”.
Mi ci immedesimo e la storia mi prende; ho sospeso la scrittura sul mio libriccino e come una ragazzina al primo amore, resto stupita ad ascoltare la storia. Non rispondo nemmeno al cellulare che nella tasca della borsa mi squilla almeno tre volte: risponderò solo in seguito, a storia finita. Continua il signor B* mentre ci siamo accomodati nel retro del negozio a prendere un caffè, gentilmente preparato dalla figlia. Riprende dalle due sorelle che, indossando veli bianchi come se andassero nozze, salgono verso la caverna per l’incontro fatale col drago. Verso la mezzanotte, scoppia un violento temporale. Tra i tuoni e i lampi, – continua il mio narratore montano – si sentono il batter d’ali del drago e il sibilo lungo che esce dalla sua bocca di fuoco. Poi un urlo nuovo e terribile per l’aria e tra tanto rumore, le dolci note di un’arpa e un canto femminile. Sono le due giovani che cantano e suonano con la loro arte più pura.
Sento pure io un dolce suono, pare proprio quello di un’arpa, ma mi giro e vedo che è un cucù appeso alla parete che batte l’ora…e penso: sono già le quattro del pomeriggio; devo rientrare prima che faccia buio… Chiedo quasi con ansia: “Ma le due ragazze che fine hanno fatto? Bruciate dal fuoco del drago? Soffocate dalle sue spire?” Di esse non si è più sentito parlare; nessuno le ha più viste. Sulla cima nera della montagna appaiono due macchie candide che prima non c’erano, che non c’erano mai state. Le due gemelle!! Le due ragazze trasformate in nubi bianchissime!
Ah ecco allora si sono sacrificate per i loro paesani! Il racconto mi ha preso talmente tanto che ho lasciato raffreddare il mio caffè: ora è imbevibile, ma non ci bado e trangugio in un colpo l’intera tazzina. E poi?Che succede? Chiedo con aria stupita.
Il drago da allora non apparve più e la valle fu liberata per sempre dal terrore. E nelle calde notti primaverili, in cui soffia il phon, il vento entra fin nel fondo delle anime e suggerisce un desiderio infinito di bontà: è l’eco del canto delle due sorelle che si fonde col mormorio del vento.
Chiudo il mio libriccino lasciato in bianco, ho tutta la storia impressa nella memoria. Le ragazze, il drago, le vesti bianche, le nuvole in cielo.
La montagna è anche questo.
Bruna Mozzi