Chi passa oggi nelle montagne bellunesi dalle parti di Tisoi, Libano, Val d’Antre, Conch, Bez noterà grotte scavate nella parete rocciosa. Sono i resti delle “Buse mole”, le cave di arenaria che per tanti decenni hanno dato lavoro e sopravvivenza a migliaia di bellunesi.
Sono storie di vita aspre, con la “pussiera”, la micidiale polvere che si sprigionava dalla pietra e penetrava nei polmoni conducendo ad una fine precoce. Un mondo fatto di sacrifici, sofferenza, dolore e miseria.
Un bellunese nato in Belgio, ma tornato in patria, Tieri Filippin, ha voluto raccontare una di queste esistenze con il titolo “Storia di Bortolo cavatore di pietre” edito dal bravo e coraggioso editore trevigiano Sismondi di Salgareda. Dino Bridda ne ha fatto una sentita prefazione che rievoca la società bellunese tra Otto e Novecento.
Bortolo Loti era nato alla fine dell’Ottocento. Il suo futuro prevedeva o l’emigrazione o una vita di fatica vicino a casa, lavorando come “molàs”, cioè cavatore di arenaria. Un piccone, una serie di cunei e tanta forza erano gli elementi indispensabili per racimolare il denaro e far sopravvivere la famiglia.
Quella che ci racconta con sentimento commosso Filippin, con dovizia di termini tecnici, disegni degli attrezzi e pregevoli foto d’epoca è una società che pochi ricordano. E, tuttavia, è indispensabile non dimenticarla. Perché dal sacrificio di quelle persone (gli uomini in cava nei campi e le donne in casa) è nata la nostra società. Che, se non altro, ci risparmia la fatica grazie alla meccanizzazione.
Non mancano episodi dolorosi, tragici come quei contadini che per non perdere qualche taglio di fieno vengono sorpresi dal temporale con funeste conseguenze. La fatica era il pane quotidiano in queste misere case che soltanto la tenacia e la fede religiosa ha sorretto.
Bortolo è morto a 65 anni con la soddisfazione di essere stato il più longevo dei molàs e se ne è andato mentre nel campanile del suo paese risuonavano i rintocchi della nuova campana.
Filippin è riuscito a dipingere con i suoi ritratti letterari innumerevoli esistenze che altrimenti sarebbero state dimenticate. Gli dobbiamo un grazie per questo suo inizio di scrittore. Che è cominciato bene anche se, nella forma e nella cura linguistica, è ancora ai primi passi. Anche per scrivere occorrono pazienza e sacrificio.
Sante Rossetto