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Contraffazione. Selvatici: “La borsetta falsa è intrisa di sangue”. Lattebusche. Bortoli: “Qualità e innovazione il binomio vincente che ci ha fatto crescere”

bortoli rossato selvatici«Nel periodo dal 2009 al 2013 in provincia di Belluno hanno chiuso 1.224 attività produttive italiane ed hanno aperto 23 aziende cinesi (sono escluse dalla statistica le attività commerciali, bar, negozi ecc). Queste nuove aziende cinesi sono concentrate per lo più nei comuni di Alano di Piave (occhialerie) e a Pieve d’Alpago (assemblaggio schede elettroniche)». Il dato l’ha fornito Antonio Selvatici, giornalista de Il Giornale, consulente della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla contraffazione e autore del libro “Libro nero della contraffazione“, relatore insieme a Antonio Bortoli, direttore generale di Lattebusche, all’ultimo appuntamento della stagione del ciclo letterario e musicale “Gabelli estate”, promosso dall’Associazione “Gabelli estate” organizzato dall’Associazione Cittadini per il recupero della Gabelli presieduta dall’ingegner Marco Rossato.

Antonio Selvatici
Antonio Selvatici

Le imprese italiane muoiono, mentre fioriscono quelle cinesi. Il fenomeno assume dimensioni rilevanti nelle altre province venete. A Padova, nel quadriennio 2009/2013 hanno chiuso 8.142 imprese italiane ed hanno aperto 578 imprese cinesi. Lo stesso a Venezia con 680 chiusure di attività produttive italiane e l’apertura di 456 imprese cinesi. «Ma le imprese cinesi non rispettano le regole» che dalla sua inchiesta ha rilevato che la metà dei dipendenti di aziende cinesi lavora in nero, in fabbriche lager. Ed è per questo motivo, per questa concorrenza sleale, che molte imprese italiane sono costrette alla chiusura. «C’è stata un’invasione di bar e tabacchi gestiti da cinesi, utilizzati solo per riciclare denaro. E’ stato accertato, ad esempio, che un bar a conduzione cinese, alle 8 del mattino, dove dall’apertura erano entrati pochissimi clienti, aveva battuto cento scontrini di cassa».

«La contraffazione vale 10 miliardi di euro, pari al 7% del Pil cinese. I container sbarcano sui porti di Napoli e Gioia Tauro , controllati dalla camorra, che impone le merci contraffatte ai negozi. Gli utili vengono poi trasferiti in contanti attraverso le 39mila agenzie di money transfer che fino a 2000 euro ad operazione non sono soggette a particolari formalità». Secondo lo studio effettuato da Selvatici, vi sono 7mila famiglie cinesi in Veneto formate ciascuna da due adulti e un minore che con un reddito di 17mila euro l’anno trasferiscono in patria 29mila euro quindi 12mila euro in più delle loro entrate che non possono che provenire dal nero generato dal mercato della contraffazione. Un fenomeno che rimane sottovalutato e tollerato. Perché ancora non è passato il messaggio che “la borsetta falsa è intrisa di sangue”. Siamo in presenza, infatti di un business che riproduce illegalmente i grandi marchi della moda, ma anche farmaci, prodotti agroalimentari, sigarette, giocattoli e pezzi di ricambio delle auto, prodotti che coinvolgono direttamente la nostra sicurezza e salute. Un dato per tutti: l’importazione di concentrato di pomodoro cinese in Italia è al primo posto tra i beni agroalimentari. Prodotto a basso prezzo nelle colonie penali cinesi, dove sono condannati ai lavori forzati circa tre milioni di persone.

Antonio Bortoli
Antonio Bortoli

Antonio Bortoli, da quarant’anni al vertice della Lattebusche, l’azienda bellunese che ha appena festeggiato i suoi 60 anni dalla fondazione, si è dichiarato sostanzialmente d’accordo con l’analisi di Selvatici sulla contraffazione. «Per quanto ci riguarda – ha detto – abbiamo avuto un episodio negli Stati Uniti, risolto nel giro di un paio di mesi con una semplice lettera del nostro avvocato. Poiché il formaggio Piave è protetto con marchio Dop riconosciuto negli Usa, il prodotto che si presentava al consumatore simile al nostro Piave è stato ritirato dalla vendita”. Bortoli parla delle scelte miopi di una politica industriale che manca in Italia. «Molte grandi aziende del settore non sono più italiane, Galbani, Locatelli, Invernizzi, Parmalat. Hanno distrutto le centrali del latte, che consentivano quello che oggi diciamo la filiera corta dal produttore al consumatore. In gran parte delle aziende oggi non si usa più il latte italiano, perchè il latte francese costa la metà di quello che noi paghiamo ai nostri produttori. Ma non bisogna sottovalutare il sistema produttivo con il quale è ottenuto, che può essere ammesso dagli stati di provenienza. Faccio un esempio, in Olanda dove mi trovavo qualche tempo fa, buttavano palate di polifosfati in ogni caldaia da 40 quintali per stabilizzare il prodotto nella stagionatura. Lattebusche ha scelto il criterio della qualità e dell’innovazione. Lavoriamo 3.300 quintali di latte al giorno prodotto nei territori dove insistono gli stabilimenti, che sono assoggettati ai severi disciplinari Dop. Paghiamo il latte ai nostri produttori differenziando il prezzo a seconda della qualità fornita, delle caratteristiche organolettiche, il contenuto di proteine ecc. La qualità è anche nel ciclo di trasformazione, attraverso l’innovazione degli impianti. Negli ultimi dieci anni – ha concluso Bortoli – l’età media dei nostri produttori si è abbassata da 70 anni a poco più di 50. Ciò significa che siamo riusciti a favorire un ricambio generazionale nel nostro settore».

(Adn)

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