In un periodo in cui si fatica ad arrivare a fine mese soprattutto a causa della massiccia pressione fiscale che da tempo i governi, non solo quello Monti, hanno imposto ai cittadini, sarebbe utile chiedersi se parte delle nostre difficoltà non siano da imputare anche a gravi errori commessi, ahi noi, direttamente sul territorio.
Da questo punto di vista non si può non condividere la presa di posizione delle categorie economiche circa il ricorso al Tar contro l’aumento dei costi dell’acqua; perché non è certo colpa dei cittadini se i grandi manager della galassia Bim hanno sbagliato i calcoli sui consumi e poi, con la connivenza dell’Aato, hanno continuato a spendere e spandere senza frenare la spesa a fronte della voragine contabile che giorno dopo giorno si formava nella loro gestione.
Negli anni settanta, quando il petrolio costava poco o nulla, si faceva andare tutto il giorno il riscaldamento (spesso centralizzato) e si tenevano pure le finestre aperte. Quando il costo è iniziato a diventare importante la gente ha avuto maggior attenzione riducendone i consumi e creando utenze autonome. Ci voleva tanto a capire che anche per l’acqua sarebbe stata la stessa cosa? Chi ha calcolato i consumi standard non ha pensato che aumentandone sensibilmente il costo l’utilizzo sarebbe stato ridotto all’essenziale?
Se ho 10 euro in tasca e con un’amica entro in un bar per bere un prosecco, ponendo che un bicchiere costi 2,5 euro posso ordinare un paio di giri; ma se il giorno dopo il barista mi chiedesse 5 euro a bicchiere sarei costretto a ordinare solo un giro, se non voglio diventare debitore del bar e sempre che il proprietario sia disponibile a farmi credito; certo non potrebbe comunque chiedermi di pagargli anche i bicchieri non bevuti.
Così purtroppo è invece successo con l’acqua: gli utenti sono divenuti risparmiatori, i gestori no e ora vorrebbero che i cittadini pagassero per coprire il loro buco.
Basta! Prima di chiedere ancora soldi ai cittadini, si azzerino i vertici (tutti!) e si pongano in essere altre azioni a risanamento del debito, iniziando col disinvestire le quote partecipative in altre società.
E poiché allo stato attuale il deliberato aumento parrebbe contra legem, nel momento in cui scatterà la nuova tariffa come cittadini o imprese rifiutiamoci di pagarla. Ma senza ridurre questo rifiuto in un semplice gesto di disobbedienza civile, trasformiamolo in un atto di sana gestione delle risorse: ribelliamoci ai balzelli dovuti ad errori a noi non imputabili e utilizziamo quei soldi per fini sociali. I cittadini versino quel 30%, che per il territorio costituirebbe un introito di diversi milioni di euro, in un fondo provinciale di solidarietà sociale dedicato alle persone in difficoltà, oggi purtroppo sempre in aumento.
Michele Carbogno – Belluno Protagonista