
L’ordinanza della Corte di Cassazione in merito al referendum ha fatto capire, simbolicamente ma non solo, che – ancora una volta – lo scoglio da superare si chiama “Roma”. È lì, infatti, che le spinte autonomistiche della nostra gente rimangono inascoltate; è lì che vengono mal digerite da chi ha, nelle proprie corde, una politica volta all’interesse nazionale, prima ancora che a quello locale. Certo un’encomiabile visione d’insieme, se non fosse che – a tutt’oggi – questa risulta essere un approccio anacronistico e limitante, illusorio e controproducente. “Pensare globalmente, ma agire localmente”: questa è la chiave per uscire da una empasse economica, istituzionale e – per quanto riguarda il Bellunese – sociale che stiamo attraversando. Per farlo, però, è fondamentale capire dove si deve operare questo cambiamento, in quale sede, a chi rivolgersi. Sono il primo a volere per la propria provincia un’autonomia pari a quella delle vicine terre trentine e so bene che tutti i politici bellunesi, da destra a sinistra, è quello che desiderano per il bene comune. Inutile e stupido continuare a ripetercelo tra noi; inutile e stupido chiedere che lo dica la Regione, che può dare alla montagna tutta l’autonomia amministrativa (ripeto, amministrativa) che vogliamo. Lo può fare sulla base di quanto è scritto nella Costituzione Italiana, all’articolo 118; lo può fare grazie allo Statuto veneto, quello attualmente in vigore (datato 1971), che concede tutta l’autonomia amministrativa possibile, mentre quello che oggi si vuole approvare, e per il quale tanto ci si compiace, la riduce ad alcune deleghe che si contano sulle dita di una mano. Troppo poco, non vi pare?
Ci vogliono regalare quel che già abbiamo e qualcosa se lo vogliono pure riprendere: andiamo verso un traguardo che avevamo già raggiunto e trovo imbarazzante che i nostri rappresentanti non se ne avvedano. Ma se una strada si è chiusa e un’altra è divenuta stretta, non è detto che il viaggio sia finito. E se la meta si chiama autonomia “come Trento e Bolzano”, io ci sto e ci sta anche il partito di cui faccio parte, l’unico ad essere indipendentista sia qui che nella Capitale. Ma sul documento che sancisce Belluno come provincia a statuto autonomo, non basta la firma di un deputato: su quel foglio serve il nome dei segretari nazionali di partito, da Pierluigi Bersani a Ignazio La Russa: sono loro che devono lavorare per la nostra autonomia e non qui a Belluno, ma nel Parlamento che sta a Roma.