«Era meglio dire sì al Lodo Alfano, così tutto questo non sarebbe successo». E’ la sarcastica conclusione a cui è giunto il procuratore generale di Brescia Guido Papalia, relatore sabato sera all’incontro dal titolo “Riforma della giustizia o giustizia nella riforma?” organizzato dalle associazioni “Oasi” e “Libera, contro tutte le mafie”. L’analisi meticolosa dell’alto magistrato sul testo della riforma costituzionale presentata in Parlamento dal ministro della giustizia, infatti, non lascia scampo: «Quando si dice che bisogna modificare l’architettura costituzionale per evitare che la Corte costituzionale non cancelli le leggi, è evidente il motivo di questa riforma: non si vogliono più controlli»! Cita Gramsci e Montesquieu il procuratore per spiegare quello che succederebbe se la riforma costituzionale dovesse andare in porto. «Con questa riforma si vuole indebolire la Costituzione. E uno dei modi per farlo è quello di definire dei principi, la cui applicazione è rinviata a delle leggi ordinarie future e quindi soggette al legislatore», ossia alla maggioranza di governo, svuotando così le garanzie della Costituzione.
Secondo Papalia, «La riforma toglie ai pm la possibilità di esercitare l’azione penale, perché dice che sarà la legge, quindi il potere esecutivo, a stabilire quali reati perseguire». C’è dell’altro. La riforma vuole anche portare via la polizia giudiziaria al magistrato, per farla dipendere dal ministero dell’Interno. In questo modo, i depistaggi e le deviazioni dei servizi segreti accaduti negli anni delle stragi, non sarebbero mai stati smascherati! E si vuole anche aumentare da 1/3 a 1/2 la composizione dei membri non togati di nomina politica del Csm, organo di autogoverno della magistratura, per indebolire ulteriormente l’indipendenza della magistratura. Devastante, infine la “prescrizione breve”: negli gli altri stati europei la prescrizione esiste solo laddove non sia ancora iniziato il processo. Ma una volta avviato il processo lo si porta a termine. Da noi succede il contrario! Si vuole impedire di portare a termine un processo già iniziato. Guarda caso, proprio quelli del premier.