
Magnifico Rettore, eminenti Professori, Presidente Zaia, Presidente Ruffato, cari colleghi consiglieri, gentili ospiti e soprattutto cittadini veneti e ITALIANI …
Prima di leggere questo breve discorso voglio ringraziare il Presidente Ruffato, presidente del Consiglio regionale del Veneto, per la sensibilità e l’operosità dimostrata per l’organizzazione delle celebrazioni per il 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia. E’ riuscito ad evitare alla Regione una brutta figura!
E il nostro orgoglio di essere italiani è condiviso dal’83 per cento dei concittadini veneti, come si evince da un sondaggio della Demos pubblicato l’altro giorno. Per noi è una grande vittoria.
… questa che stiamo vivendo oggi è una celebrazione che arriva in un momento difficile, in cui non abbiamo tanta voglia di far festa.
Purtroppo spesso facciamo fatica ad essere orgogliosi di appartenere ad un Paese che troppe volte ci ha deluso.
Diversi sono i motivi di frustrazione.
Uno Stato che talvolta dà l’impressione di essere debole con i forti e forte con i deboli.
Si va dall’ambiguo messaggio del generale Badoglio alle nostre truppe, nel 1943, che di fatto le lasciava in balìa dei nazisti, alla successiva fuga del re a Brindisi. E come dimenticare l’infame abbandono di 350.000 istriani e dalmati alle violenze dei titini (che hanno toccato anche la mia famiglia), a cui seguì negli anni ‘70 il trattato di Osimo firmato in modo furtivo e approssimativo da Italia e Jugoslavia. Là cedemmo una terra tradizionalmente veneta!
E ancora, tra la fine degli anni ‘50 e i primi ‘60, la resa agli altoatesini, che con quattro bombe sui tralicci dell’alta tensione sono diventati sudtirolesi e hanno ottenuto tutto e di più, tanto che oggi Durnwaldner può snobbare il nostro grande presidente Napolitano.
Ricordo – e purtroppo lo devo ricordare anche contro la mia parte politica – soltanto il trattato di Milano del 2009 dove proprio a Durni, Durnwalder, si lasciano i nove decimi dei tributi come premio di una blindatura statutaria e di una affrancata autonomia ancora più rafforzata in questo ultimo periodo. Questo non è il federalismo che io voglio.
E a proposito concedetemi una riflessione: che senso ha conservare le Regioni a statuto speciale, dopo quasi settant’anni dall’emergenza postbellica?
E sempre rimanendo in tema di iniquità perché gli stipendi pubblici hanno da essere uguali a Belluno come a Palermo, laddove i nostri insegnanti devono spendere 2000 euro all’anno in riscaldamento, mentre laggiù la vita è meno cara?
Uno Stato in cui sono presenti sacche di inefficienza. Cavour pensava di esportare il modello dello stato sabaudo al Sud, e l’impresa è inutile negarlo non è riuscita. Ancor oggi e anche al Nord troppi servizi pubblici versano in un degrado deplorevole
. Uno Stato che fa fatica ad essere sempre presente. Vaste aree del Mezzogiorno sono in mano alle mafie, che tentano di esportare il loro modello negativo anche al Nord. Gli ultimi dati ce lo dicono. L’emergenza della spazzatura a Napoli ci ricorda ogni giorno quanto sia difficile gestire certe aree del Paese.
Nonostante tutto ciò che non va, diversi sono i motivi che ci rendono orgogliosi di essere Italiani, di credere nei valori che rappresenta il Tricolore, di cantare l’inno di Mameli.
A partire dal sacrificio di quegli studenti padovani, veneti e italiani (ricordati oggi) che nel Risorgimento hanno dato la vita per un grande ideale che ha contaminato positivamente le menti di molti giovani vissuti nell’Ottocento: fare dell’Italia, per tanti secoli suddivisa in principati, regni e repubbliche oligarchiche, un unico Stato sotto un’unica bandiera.
Ricordiamo il sangue versato sul Piave, sul Pasubio, sull’Altopiano di Asiago e su tutto il fronte nel 15-18 da migliaia di soldati di tutte le regioni italiane per difendere l’integrità del nostro Stato italiano.
Sono da menzionare anche i grandi sacrifici dei nostri nonni e dei nostri genitori che hanno vissuto la sconfitta della Seconda guerra mondiale e un difficile processo di riappacificazione che ha portato alla Costituzione repubblicana.
E per venire ai nostri giorni come non ricordare il sacrificio di Matteo Miotto di Thiene e Massimo Ranzani di Occhiobello, i due alpini deceduti sotto le insegne del tricolore per un ideale: portare pace e democrazia a popolazioni martoriate da fame e guerra. E noi salutiamo i soldati che sono oltre confine. Oggi sono lì a sacrificarsi con noi.
Questi sono gli italiani che vogliamo!
Con la Repubblica sono arrivati anni importanti, quelli della ricostruzione: un evento storico, un miracolo messo in atto dagli Italiani, che ha elevato il nostro Paese al tavolo delle grandi potenze economiche mondiali.
Di pari passo è emersa in modo deciso la nostra creatività: la moda e lo stile italiano sono al top nel Mondo.
Così come siamo il primo Paese al Mondo per ricchezza in beni culturali e tra i primi ad aver fatto del turismo un settore trainante dell’economia.
Siamo anche il Paese delle eccellenze formative: quanti giovani che escono dalle nostre Università – che non trovano lavoro purtroppo da noi – riescono a collocarsi in ruoli di primo piano a livello internazionale negli studi e nella ricerca e nelle applicazioni tecniche e scientifiche.
Un esempio fra tutti: proprio dalla Facoltà di fisica di questa Università è uscito il vicentino, veneto e italiano, persona di grande spessore, Federico Faggin che si è trasferito negli USA dove nel 1971 ha inventato il microchip, componente alla base degli strumenti elettronici che oggi tutti usiamo, come i telefoni mobili e i personal computer …
Pensiamo anche al nostro volontariato, nessuno lo ha ricordato ma è base fondamentale della nostra comunità, che unisce:
sia a quello di ispirazione cristiana rivolto verso gli ultimi, sia a quello laico delle associazioni dei disabili e delle associazioni nazionali di promozione culturale e sportiva, ma anche quello che dà un grande contributo alla protezione civile, a quella protezione civile con la bandierina su. Un vero esercito di cui andare orgogliosi come italiani.
Era un volontario Antonio Mercanzin, il nonno vigile morto a Montecchio Maggiore, nemmeno un mese fa, facendo scudo con il suo corpo per salvare la vita dei bambini che seguiva davanti alla scuola! Mercanzin amava la Bandiera Italiana e la divisa della protezione civile. Ne era fiero.
E’ QUESTA L’ITALIA CHE VOGLIO! Fatta di italiani capaci di giungere all’estremo sacrificio pur di dare speranza alle future generazioni!
Oggi il nostro Risorgimento è impegnarci per un’aggregazione di maggiori dimensioni, dove le regioni di allora sono gli stati di oggi e l’Italia è l’Europa.
Solo una grande entità economica e politica, con un ruolo forte nella diplomazia internazionale come l’Europa unita può fronteggiare le sfide che ci impone il nostro tempo: prima tra tutte la sfida della globalizzazione dei mercati e degli stili di vita.
Un’Europa fatta dal lavoro e non dai derivati finanziari, questo è il mio sogno!
E perseguire assieme un unico obiettivo: gli Stati Uniti d’Europa!
Per farlo però prima dobbiamo ricominciare a discutere della valorizzazione delle nostre terre, della nostra storia e della nostra cultura, di turismo e di arte.
La creatività, le buone pratiche, il fare gentile e sublime dei nostri genitori ci hanno consegnato una rendita di posizione che vale ancora oggi! Il made in Italy in senso generale!
Non possiamo però sederci, dobbiamo stimolare le nostre menti per essere ancora più innovativi e competitivi, sensibili ai modelli di vita e creativi nel modo giusto!
Questa rendita la dobbiamo consegnare integra alle future generazioni.
Ritorniamo ad un dibattito politico ed economico ripulito da polemiche e strumentalizzazioni. Riscopriamo la moderazione nei toni e nei contenuti. Anteponiamo il fare alle chiacchiere e ritorniamo ad essere quella maggioranza silenziosa che nonostante tutto ha fatto dell’Italia un grande Paese.
VIVA L’ ITALIA e VIVA IL VENETO
DARIO BOND, capogruppo del Pdl