Giovedì scorso, si è inaugurata a Milano, presso la storica Galleria Studio d’Arte Cannaviello (www.cannaviello.net/), in Via Stoppani, Crash & Cut-up, mostra personale di Tiziano Martini (www.tizianomartini.com/), artista zoldano da un anno residente nel capoluogo lombardo. Negli ultimi due anni, l’opera di Martini ha subito un’evoluzione, ed un’accelerazione, netta ed evidente L’attenzione ed il gradimento della critica, e del pubblico specializzato, per la sua opera, lo testimoniano. La pittura di Martini, oltrechè estremamente personale e fresca , si sta dimostrando, in definitiva, assai solida e convincente. Lo stile e la sensibilità propri di quest’artista, d’ambito post o neo-espressionista, lo rendono particolarmente compatibile con un certo modello di pittura contemporanea d’area germanica. anto che, grazie all’interessamento congiunto di Gabls (www.gabls.it) e di un importante collezionista, è stato possibile accogliere la proposta del LIA, il Leipzig International Art Programme, che consiste in un studio-visit di sei mesi, nel corso del quale l’artista bellunese vivrà appunto a Lipsia, realizzando un’esperienza formativa importante all’interno di una struttura internazionalmente nota per la validità del progetto. Il LIA consiste infatti in una residenza all’interno delle quale i giovani artisti selezionati, provenienti da tutto il mondo, hanno l’occasione di conoscere e di confrontarsi con alcuni dei più grandi artisti tedeschi contemporanei, che in questo complesso hanno il proprio studio.
Tiziano Martini – crash & cut-up (testo critico)
Tiziano Martini è nato a Soltau (Ger) nel 1983. Laureato in Pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia, vive a Milano.
Il suo lavoro, spesso impropriamente inquadrato come astratto, ha piuttosto a che vedere, sempre, con il reale, un reale che viene traslato e ricodificato attraverso l’impegno continuo dell’esplorazione e della dissezione pittorica degli elementi fondamentali propri del reale stesso, e di quelli interni alla pittura. Questo reale fonde l’oggetto fisico alla pittura quale linguaggio ad un tempo traduttivo ed essenziale all’essere (del pittore).
Il lavoro di Martini è dunque un’epistemologia della pittura (processo conoscitivo razionale), e, assieme, un’empatia, l’espressione di una visceralità, della sensibilità intuitiva che costituisce l’altro motore attraverso cui quest’artista compie e completa il proprio processo gnoseologico/immaginativo/generativo.
Dal punto di vista emotivo (dello spunto emotivo, basilare), la realtà è, tutta, materiale potenziale per la pittura. E la pittura è mezzo fluido d’azione appercettiva, tecnica d’analisi, agente rimescolatore d’istanze interiori ed esteriori, quindi processo produttivo di costruzione (traduzione, restituzione) del reale in un altro reale: il reale mediato (soggettivato) dell’immagine.
La natura, il paesaggio -il soggetto (che è, nei lavori recenti, sempre il fantasma di un oggetto, mai di una persona; un oggetto talvolta –spesso- smangiato dal tempo, oggetto che si consuma, e lascia una traccia, delebile, melanconica, di quel proprio sé inizialmente integro –funzionale- che lentamente, ineluttabilmente, và degradandosi, perde parte della propria essenza e storia, scompare, si scioglie, just like melting snow): in generale, possiamo dire che tutti gli elementi esteriori che entrano nella composizione del quadro, sono, in misura maggiore o minore, pretestuosi, e vengono usati quali mezzi, inneschi, per avviare una reazione, e, quindi, per cercare una misura rinnovata dell’immagine dell’oggetto (dell’oggetto della pittura, ovvero, per il pittore, del reale trasposto, di uno dei suoi reali, del reale nell’immagine, in parte immaginato, mai immaginario – integrato nell’immagine).
I soggetti, variabili, a seconda dei periodi -volti, strutture tettoniche, parti di costruzioni smembrate/decostruite, accumulazioni di elementi geometrici sospesi, dettagli e brani (decontestualizzati) d’immagini forse riconoscibili, paesaggio, specchio d’acqua, alberi- anche quando la loro pretestuosità risulta elevata, sono comunque portatori, spesso impliciti, di una memoria, un ricordo, una sottile malinconia legata al carattere relittuale di questo ricordo o del destino transeunte dell’oggetto raccolto. E, in tal modo, i quadri divengono (anche) custodie, taccuini, spazi specifici di memoria.
I soggetti, come elementi costitutivi della composizione pittorica, insieme agli altri pezzi del reale e dell’immaginato (i materiali primi utilizzati da Martini sono schegge di realtà: egli dipinge il reale; poi ci sono le tracce emotive, che producono le immagini sensibili, quindi gli espedienti informali, gli elementi maculari); tutti questi frammenti dell’essere fisico e della percezione figurata, entrano nel progetto pittorico, che serve ad accendere il quadro dall’interno, a metterne in rapporto le parti, a provocare il lavoro stesso, spingendolo, attraverso una serie di relazioni d’accostamento, sovrapposizione, scontro, a generare un’immagine composita, antiorganica, in cui la parte razionale e quella intuitiva si accordano a generare un equilibrio formale fragile, instabile, sospeso.
In questo processo, che è libero, in quanto non segue un rituale definito, preordinato, la parte progettuale ha a che fare con la tecnica compositiva, e non con la forma, che giunge per ultima, portando un’immagine spesso imprevista.
L’ipertesto (pittorico) viene dunque ridefinito, criticamente, nei suoi rapporti di spazio e di senso. La sequenza delle unità significanti è decostruita, tagliata (cut-up), rimontata, reinventata.
Questo processo è libero, ma coerente. Gli elementi primi di questa processazione dell’immagine sono sempre gli stessi, solo ricalibrati, di volta in volta, ciclo per ciclo, in ragione della condizione intellettuale ed emotiva del pittore. Ed è in virtù di tale libera coerenza, che le immagini (i soggetti) possono cambiare, senza che Martini abbia mai ad apparire eclettico, mentre il suo processo di ricerca, esplorativo/accumulativo, mette in luce qualità di mobilità e fluidità. Prima viene la spinta; poi le immagini, che sono quindi, in certa misura, incidentali (oltrechè incidentate, come vedremo).
Gli elementi, le parti, vengono organizzati attraverso determinati schemi compositivi morbidi: le modalità di assemblaggio dei materiali –eterogenei- necessarie alla realizzazione di un libero campo d’azione pittorica, ed alla costruzione e calibrazione del quadro-ordigno (silenzioso), sono diverse. Tra queste, troviamo la componente compositiva razionale, il gioco, la casualità, che spesso consente di definire la figura finale a partire da un incidente (pittorico, non di soggetto) clamoroso, da uno scontro improbabile tra elementi distanti, che trovano una misura nel proprio rapporto attraverso l’invenzione di uno spazio pittorico nuovo, esploso, privo di centro, decostruito e sospeso. Questa catastrofe (dodgiana), mescolata alla disinvoltura (fluidità richteriana) nel passar di stato, creano un gioco intelligente, d’istinto e ragione. La catastrofe è nel metodo, non nel soggetto: per cui non si rileva alcun catastrofismo in essa, e l’incidente rimane uno stimolo positivo che frantuma e rifonda il nuovo paesaggio ibridato.
——
Negli ultimi tre anni, il lavoro pittorico di Martini è venuto cambiando sensibilmente. Al ciclo dedicato ai ritratti ricompositivi, ed a quello dei primi paesaggi figurativi, che ancora aderivano direttamente, o gradualmente cominciavano a staccarsi, dai modelli classici, ha fatto seguito, nel corso del 2009, una fase “costruttiva”, condotta dall’autore fino al limite di una quasi totale astrazione geometrica (apparente), dove il paesaggio naturale lasciava il posto, in una sintesi spigolosa, a spazi e forme più razionali, ad un nuovo modello di paesaggio, geometrico, meccanizzato, ortogonale, urbano, potentemente espressivo, che marginalizzava la componente emotiva.
Oggi Martini torna alla natura, ed al paesaggio naturale. Il lavoro è mutato ancora. Il soggetto è meno pretestuoso, più centrale, e, nell’approccio, la componente emotiva ha riguadagnato terreno su quella razionale.
Anche quell’elemento di freddezza nordica, da sempre presente in misura variabile nel lavoro, viene stemperandosi in una dimensione più distesa, meno razionalmente geometrizzante; l’approccio è più rilassato, le tensioni si sono in parte ridotte, il gioco e l’ironia sono cresciuti; le leggere scie melanconiche lasciate dagli oggetti nel loro processo naturale di consunzione, si accomodano ora quietamente nel quadro, mentre la altre sue parti crashano senza clangori, con suono meno metallico.
In realtà, questo scontro d’ammassi è stato sempre piuttosto silenzioso. Un incastro pittorico di clusters eterogei, assai misurato. Il colore forte, le forme decise, generano l’apparenza di un’esplosione. Ma la sensibilità compositiva è delicata. Per individuare le nuove soluzioni, per produrre un’immagine rinnovata, per poter lavorare all’organizzazione ed al controllo delle variabili, Martini fa dapprima intervenire un gran numero di oggetti spuri nello spazio pittorico. Ci sono le immagini-innesco, le immagini-guida (intermedie), e le immagini-risultante. Le immagini-innesco sono frames di realtà (alternativi ai soggetti, anch’essi utilizzati per accogliere e restituire la suggestione dei fenomeni); colte dal mondo circostante, son piantate nel quadro, come semi, per avviare il processo. Possono venire, indifferentemente, da un abbozzo di collage, da una fotografia, da un’immagine presa (quasi) a caso dal web, da un ricordo (visivo). Ad esse, vengono poi mescolati altri ingredienti-reagenti, in una pratica elaborata di misturazioni alchemiche, ridosaggi formali, calibrature geometriche, equilibratura dei valori ponderali, spargimento di polveri piriche.
E poi gli elementi densi di forma-colore, talvolta sollevati esplosi come una crosta ghiaccia nell’urto, e lasciati lì in sospensione; gli elementi pop, che si scontrano, attraverso la causalità e l’incidente, con situazioni più naturalistiche e figurative; i ready-mades, parzialmente riconoscibili, decontestualizzati; le forme spigolose, le masse informali; esplosioni, scoppi e fuochi, progressioni geometriche e quinte cromatiche.
Tutto ciò è fatto convergere sulla tela, e utilizzato per generare l’immagine-risultante, un’immagine che non era già contenuta in un’ipotesi di partenza. Quando, ad un certo punto, durante il lavoro, essa giunge, il lavoro subisce un arresto. L’immagine guida è riconosciuta (è un’icona, un pacchetto d’informazioni concentrato in un’immagine sinteticamente riconoscibile; un fulcro riconoscibile d’informazioni visive, che si intende, intuisce, vede, avverte), la sua apparizione viene registrata; quindi, con uno scatto cosciente, il lavoro riprende, questa volta orientato.
In questa fase, spesso, il quadro non ha ancora un verso. E’ una scatola pittorica rotante, in cerca del suo equilibio; un equilibrio tra quelle parti sciolte, eterogenee, concorrenti. Ruotare il quadro, equivale, ancora una volta, a decontestualizzarlo, ed a cercare l’ultimo passaggio, quello che conduce dall’immagine guida, matrice evolutiva, all’immagine risultante, all’opera finita, pure in bilico, poco stabile, levitante.
gianluca d’incà levis – febbraio 2011