«Ci sono forti interessi perché questa società vada male. A chi giova tutto questo?» E’ lo sfogo di Franco Roccon, presidente di Bim Gsp spa, l’azienda pubblica che da 7 anni gestisce l’acqua potabile in provincia di Belluno e che da una ventina di giorni è nel tritacarne mediatico di stampa e tv per la sua esposizione (un modo carino di chiamare i debiti) di 51 milioni di euro con le banche. Il presidente Roccon fonda sui seguenti quattro interrogativi la sua autodifesa e quella del suo consiglio di amministrazione:
1) Sulla base di quale assunto (tecnico, industriale o contabile) si può dichiarare che questo Consiglio è ora in difetto e non ha operato correttamente?
2) Sulla base di quale principio contabile si associa l’aumento tariffario ad una errata e poco competente gestione?
3) Sulla base di quale principio contabile si afferma che la società è in perdita?
4) Quali sono i contenuti reali di chi richiede le dimissioni del consiglio in carica?
La risposta sugli assunti tecnici e i principi contabili sono evidentemente di competenza degli addetti ai lavori che hanno potuto visionare le carte. Noi ci limitiamo a osservare e registrare gli umori dell’uomo che cammina per la strada. Che si chiede come mai una società che lavora in regime di assoluto monopolio e vende un bene indispensabile come l’acqua, abbia potuto accumulare un’esposizione di 51 milioni di euro con le banche. E perché non sia corso ai ripari prima.
Il presidente Franco Roccon ha spiegato che Gsp ha puntualmente adempiuto agli obblighi contrattuali con l’Aato (l’ente controllore formato dai Comuni) nel piano degli investimenti. «Ma in montagna i costi sono del 30% superiori rispetto alla pianura: un depuratore qui costa mediamente 900 euro ad abitante, contro i 5-600 della pianura. E caricare interamente i costi sui cittadini con le tariffe è difficile. Una situazione che del resto era stata portata a conoscenza dell’Aato fin dal marzo del 2005». Dunque l’Aato conosce la criticità della situazione, ma non interviene, secondo quanto esposto dal cda di Gsp. «l’Aato riceve ogni tre mesi tutti i report – precisa Mario Tremonti, sindaco di Lorenzago di Cadore e membro del Cda di Gsp – e dunque ci sentiamo di respingere ogni colpa. Abbiamo adempiuto agli obblighi contrattuali. L’errore parte dal legislatore che ha imposto a province di montagna come Belluno l’obbligo di eseguire grandi opere di depurazione». Sulla stessa linea anche gli altri membri del cda, Luigi Forlin sindaco di Fonzaso, Giuseppe Pezzè sindaco di Alleghe e Albino Belli direttore amministrativo di Gsp che assicura che le scadenze del piano d’ambito sono state rispettate da Gsp. Le colpe, insomma, vengono spalmate sul legislatore che ha penalizzato la montagna e sull’Aato, la cui assemblea dei sindaci non ha mai dato il via libera agli aumenti tariffari, che evidentemente sarebbero stati impopolari per i sindaci stessi. Ma se il contratto con l’Aato, che prevedeva le grandi opere di depurazione, era così oneroso come mai Bim Gsp lo sottoscrisse? Mentre si attende ancora la risposta dell’Aato sul piano tariffario, all’orizzonte si delinea una soluzione politica: intervenga la Regione a finanziare i maggiori costi della montagna.