
Cosa spinge quasi ventimila bellunesi a sottoscrivere un referendum per il passaggio della nostra provincia dal Veneto al Trentino Alto Adige? Il mio rispetto per i promotori di questa iniziativa e, in particolare, per i tanti cittadini che l’hanno sottoscritta e che ora la sostengono mi porta innanzitutto ad interrogarmi su quali sono le ragioni di questo evidente malessere sociale. La montagna è in difficoltà e necessita di iniziative adeguate. Dopo quindici anni da sindaco di un comune di montagna, penso di conoscere gli aspetti più preoccupanti: viviamo in un territorio con una popolazione sempre più anziana, le terre alte rischiano di essere abbandonate, soffriamo la concorrenza di vicini ricchi e potenti, abbiamo strade e servizi a volte inadeguati, il settore manifatturiero è in crisi e il turismo non decolla, nonostante la straordinaria bellezza delle Dolomiti. E’ dunque comprensibile che molti bellunesi guardino con un po’ di invidia alle realtà a statuto speciale a noi vicine. Perché non possiamo godere anche noi delle stesse condizioni dei trentini e degli altoatesini, visto che viviamo in un territorio di confine e interamente montano? Perché loro possono avere finanziamenti a fondo perduto per rimodernare gli alberghi o per avviare un’attività e noi no? Perché loro possono avere un sostegno economico per ogni figlio e noi no? Perché loro possono permettersi strade sempre più scorrevoli e servizi sempre più efficienti e noi no? Domande legittime, come legittima è l’aspirazione a non arrendersi a un declino che, per il territorio bellunese, sembra attualmente inarrestabile. A ben vedere, però, tutti questi problemi possono essere riassunti in due storiche carenze: di risorse economiche e di autonomia politica e amministrativa.
Qual è allora la terapia per guarire la nostra provincia?
Non credo che la soluzione sia un referendum che non può portare all’obiettivo che si prefigge. Non solo per la complessità dell’iter legislativo, aggravata dalle tutele costituzionali degli statuti delle due province autonome e dal trattato internazionale De Gasperi-Gruber, ma anche per la posizione di Trento e Bolzano. A questo proposito, le parole del governatore altoatesino Luis Durnwalder sono state chiare: la porta non è solo chiusa, è sbarrata. Dello stesso avviso è anche il collega trentino Lorenzo Dellai: per correttezza non posso riferire le parole usate nel corso di un recente colloquio, ma posso assicurare che la sua posizione non lascia spazio a interpretazioni. Non si può dunque ingannare la gente alimentando false speranze, con un referendum che costa parecchi soldi alla collettività e che non serve a nulla se non a manifestare il disagio della provincia, senza però contribuire a ridurlo.
Le risposte per eliminare il malessere delle nostre comunità sono altre. La carenza di risorse e di autonomia si può risolvere solo con l’attuazione del federalismo fiscale e con il riconoscimento della specificità della nostra provincia all’interno del nuovo statuto regionale, con le conseguenti leggi attuative. Dopo anni di attesa, entrambi questi traguardi sembrano essere alquanto vicini. Hanno forse il “difetto” di essere una rivoluzione silenziosa, che non fa lo stesso rumore di una consultazione popolare. Ma hanno il grande pregio di essere una terapia efficace e attuabile, e non una operazione propagandistica e mediatica.
Matteo Toscani, vicepresidente del Consiglio regionale del Veneto