
Tra i documenti storici della Biblioteca Civica di Belluno, vi sono i verbali delle assemblee dei patrioti bellunesi dell’800 che riportano i dati contabili ed i resoconti delle assemblee tenutesi dal 1896 al 1928 dal direttivo dell’associazione. Sfogliando le pagine ingiallite dello storico documento, c’è il nome di Ferdinando Massenz, nominato presidente del sodalizio nel 1905. Ebbene, c’è una storia che lega Massenz ad altri tre bellunesi, Federigo Cavessago, Gaetano Ferigo, ed un quarto uomo non identificato. I quattro amici riuscirono ad evadere dalle carceri cittadine, all’epoca in cui Belluno era sotto il dominio austriaco, e a raggiungere l’Appennino dove combatterono nelle Guerre d’Indipendenza. Dopo l’Unità d’Italia, i quattro intrapresero strade diverse, ma giurarono di ritrovarsi ogni anno per festeggiare l’evasione. Cosa che fecero puntualmente, sedendosi a tavola in una locanda del centro di Belluno (a fianco alla Cassa di Risparmio del Veneto dove oggi c’è ancora un bar) davanti ad un piatto di minestrone e, quando andava bene, un arrosto di coniglio. Vi raccontiamo la storia di uno dei quattro, Gaetano Ferigo geniale artigiano e piccolo imprenditore, autore tra l’altro del portone in legno di Palazzo Rosso. Nato a Belluno nel 1837, Ferigo trascorre la sua giovinezza nel rumore delle rivoluzioni e delle battaglie, assimilando gli ideali di Patria e Libertà. E’ tra i primi che nel 1859 corrono a cacciare gli austriaci dalla Lombardia e dal Veneto nella II Guerra d’indipendenza. Arrestato è tradotto di carcere in carcere fino a quello di Belluno, da dove riesce ad evadere con i due amici. Raggiunge quindi Bologna, pronto nuovamente a combattere per la Patria. Ma l’11 luglio del 1859 sopraggiunge l’armistizio di Villafranca tra i due imperatori Napoleone III e Francesco Giuseppe, che lascia delusi i patrioti. Ferigo nel frattempo si arruola nell’Esercito italiano e prende parte nel 1859 agli avamposti contro i papalini e sul Po fronteggia il ritorno delle truppe del Duca di Modena. Inquadrato nel 39mo Reggimento, partecipa alla Campagna delle Marche e dell’Umbria del 1860-61, dando prova di coraggio e guadagnandosi una medaglia nella presa di Ancona. Nel gennaio del 1861 è impegnato nell’azione di repressione del brigantaggio ad Ascoli e nel combattimento di Mozzano è fatto prigioniero insieme a Federico Cavessago e Ferdinando Massenz. Dopo 20 giorni di prigionia sfuggono alla fucilazione grazie all’intervento delle truppe regolari dell’Esercito a San Martino degli Abruzzi. Compiuta la ferma militare, però, Gaetano Ferigo non può far ritorno a Belluno perché la città è ancora dominata dagli Asburgo ed egli è ancora ricercato come evaso.Rimane dunque a Piacenza, guadagnandosi da vivere come falegname. Qui conosce e sposa Ersilia Vandelli. E dopo il 1866, con la Pace di Vienna ed il plebiscito con cui Napoleone III consegna il Veneto all’Italia, Ferigo può finalmente ritornare a Belluno con la famiglia, proseguendo nella sua attività di falegname. Nel 1873 apre a San Francesco un laboratorio per la lavorazione meccanica del legname ottenendo i primi riconoscimenti dalla Camera di Commercio di Belluno, poi dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere e Arti che gli assegna il III premio in una gara fra industrie del Veneto.
Nel 1884 trasferisce l’opificio in locali più ampi presso il Ponte nuovo sull’Ardo, dove realizza su suo progetto un motore idraulico per la lavorazione del legno. Riesce ad abbinare la tecnologia moderna delle macchine all’arte. I suoi parchetti di legno sono apprezzati ovunque per l’originalità dei disegni, l’armonica disposizione dei colori e la buona solidità di costruzione. All’Esposizione di Belluno del 1895 gli viene assegnata la medaglia di bronzo. Premio che il Ferigo rifiuta, ritenendolo insufficiente alle sue aspettative. Non aveva torto. Infatti, all’esposizione di Torino del 1898, il suo grande armadio da sala è giudicato un capolavoro. Nel 1904, all’Esposizione di Perugia, vince il Gran premio e la medaglia d’oro. E l’anno seguente, all’Esposizione regionale delle Marche, tenutasi a Macerata, i suoi parchetti ottengono la medaglia d’argento del Ministero dell’Agricoltura industriale e del Commercio, ossia la più alta onorificenza nel settore dell’epoca. Alla sua morte, avvenuta all’età di 72 anni, 300 famiglie bellunesi gli dedicarono il seguente epitaffio: “Cuore di patriota fervente, giovanetto ancora, varcò il Po quando era delitto varcarlo, combatté da prode fra i volontari nel 1859, nella Milizia regolare nel 1860-61, contro i nemici esterni ed interni d’Italia, soffrendo privazioni e carcere per la Patria diletta”. Roberto De Nart