Belluno rispetta i parametri fissati dalla Strategia di Lisbona, che indica il raggiungimento in Europa della presenza femminile nel mercato del lavoro nella misura del 60%. Anche con la parità di retribuzione tra maschi e femmine non esiste disuguaglianza. Ma nella nostra provincia l’obiettivo da raggiungere è un altro: l’ingresso a pieno titolo del potenziale lavorativo femminile. Ciò significa che, seppur la donna non può accedere a determinati benefici in quanto non può permettersi di effettuare ore straordinarie, di offrire disponibilità illimitate o di essere pronta per trasferte e spostamenti perché, a differenza del maschio, a casa l‘attendono altri impegni lavorativi, deve comunque essere messa nelle condizioni di esprimere le proprie potenzialità. Non serve che debba eguagliare l’uomo a tutti i costi. Deve invece essere eseguita una revisione radicale nel rapporto lavorativo uomo-donna. Così come stanno le cose attualmente, la retribuzione femminile non lievita perché essa è emarginata da quegli incentivi che fanno la differenza in busta paga. E’ quanto hanno detto in sintesi i relatori nel convegno di ieri (lunedì 24) nell’Auditorium cittadino in occasione dell’ “Equal pay” organizzato dalla Federazione italiana donne arti professioni affari, Fidapa, sezione di Belluno, con il titolo “Parità di retribuzione per parità di mansione“. Lo squilibrio retributivo per le lavoratrici è stato sottolineato per prima dall’assessore alle Pari opportunità del Comune di Belluno, Maria Grazia Passuello, che si è detta incredula quando ha analizzato la situazione dei dipendenti di Palazzo Rosso. L’ha colpita maggiormente il fatto che, sebbene la media delle dipendenti in possesso di un titolo di studio sia superiore di quella maschile, non corrisponde un più alto inquadramento della donna nel settore dirigenziale. Un altro indice di disagio dovuto all’enorme pressione di impegni domestici ed extra domestici è la consistente richiesta delle donne per accedere al part-time o addirittura rassegnare le dimissioni dopo la maternità. Coordinati dalla presidente bellunese della Fidapa, Francesca Bianchi, gli intervenuti sono proseguiti con Diego Cason, sociologo, il quale ha tracciato un quadro provinciale tutt’altro che roseo: la situazione è peggiore rispetto al rapporto del lavoro femminile che egli stesso aveva elaborato nel 2006. Il segretario provinciale della Cisl, Anna Orsini, ha posto l’accento sulle esperienze in azienda ricavando gli indici che portano alle differenze salariali. Ha detto, tra l’altro, che il gap in Veneto si attesta sul 15 per cento in meno per le lavoratrici rispetto ai lavoratori. Va un po’ meglio per la provincia di Padova (13.2) e peggio per quella di Rovigo (22.2), in mezzo sta Belluno con il 17.2 per cento. L’avvocato dell’ufficio legale della Cgil Alessandra Fontana ha preso per mano i presenti e li ha portati ad osservare la situazione provinciale con occhio critico: un fotografia poco edificante. La sindacalista Uil Alessandra De Bettin ha sviluppato il tema delle pensioni che, inutile dirlo, risentono delle scarne retribuzioni della vita lavorativa delle donne. Le conclusioni sono state tratte da Sabrina Bellumat, avvocato e docente universitaria di Economia, la quale ha sostenuto che l’attuale crisi mondiale può diventare un volano a favore delle donne. Perché costano relativamente poco all’azienda. La donna guadagna meno proprio per quel sistema di valutazione della performance di cui si diceva.