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Oltre il pregiudizio, ovvero quando l’ immigrazione è un ponte fra culture diverse

Riceviamo e pubblichiamo volentieri un  articolo della giornalista bellunese Elisa Di Benedetto e di Amer Farooq (Pakistan)*. Una testimonianza di come il dialogo e la conoscenza reciproca siano la base per una moderna società multietnica.

A metà strada tra la stazione e Piazza dei Martiri, Via Caffi è sempre più una finestra su altre culture, storie, tradizioni. Lungo le poche centinaia di metri che separano Piazzale Marconi da Piazza Piloni, aumentano le occasioni di incontro con realtà e persone provenienti da lontano: dalla bottega del commercio equo solidale, che con oggetti di artigianato e prodotti tipici porta un po’ di mondo nelle case dei bellunesi, ai call center e gli internet point, dove gli immigrati si ritrovano per comunicare con gli amici e i familiari nel Paese di provenienza, ma anche scambiare idee ed esperienze.
Tra negozi e palazzi storici che si trasformano, c’è anche un angolo di Pakistan, nascosto tra i sapori speziati della cucina pakistana e indiana proposti assieme al più noto kebab da Asad Abbas nel suo “Pak Fast Food”.
A Belluno, dove la maggior parte degli immigrati proviene da Marocco, Albania e Romania, non esiste una comunità pakistana e i contatti con la comunità locale sono più facili rispetto ad altre città. “Ho tanti amici italiani. Qui mi vogliono bene”, conferma Asad. “Sono interessati al mio Paese e alla mia famiglia e le donne amano gli abiti di mia moglie”, continua, a proposito degli italiani, che rappresentano la maggior parte dei clienti dei sei fast-food che gestisce in Veneto assieme ai fratelli.

un fast food pakistano a Belluno
un fast food pakistano a Belluno

Dopo sette anni a Prato, dove ha raggiunto lo zio e il cugino, Asad ha pensato di portare il kebab a Belluno. “Ho visto che a Belluno non c’era il kebab e così ho pensato di portarlo io”. E il kebab ha portato anche i piatti e i sapori tipici pakistani. La sosta al “Pak Fast Food” è spesso momento di incontro e conoscenza reciproca, al di là di stereotipi e pregiudizi.
Il Pakistan in Italia
Nell’immaginario comune, il Pakistan viene identificato con Hina, la giovane uccisa a Brescia nel 2006 dal padre, dallo zio e dal cognato per il suo stile di vita “troppo occidentale”, e con gli attacchi terroristici raccontati dai media. Burqa, estremismo islamico e immigrazione illegale sono diventati sinonimi di un Paese che troppo spesso viene confuso con i Paesi vicini. Primo fra tutti, l’Afghanistan.
“La gente che incontro sul treno mi chiede della guerra e della droga. Io provo a spiegare e a raccontare quello che succede nel mio Paese, ma a volte ho l’impressione che non serva”, racconta Iqbal, arrivato in Italia nel 2002. Dopo una permanenza in Olanda, Inghilterra, Germania, ha scelto di restare in Italia e oggi vive a Milano con alcuni amici, suoi connazionali. Trascorre la maggior parte del tempo libero con la comunità pakistana e sono poche le occasioni di incontro e di scambio con gli italiani.
Le comunità pakistane più numerose si trovano nel Nord, in Lombardia, dove vive il 70 percento dei circa 80mila immigrati pakistani. Brescia è diventata “Brescia-stan”, sintomo di una immigrazione che negli anni è diventata parte integrante del tessuto sociale. Come spiega Ejaz Ahmad, giornalista e mediatore culturale trasferitosi in Italia nel 1989, a differenza degli anni Ottanta oggi l’Italia non è più un luogo di passaggio per gli immigrati diretti in Nord Europa, e si asste a un’immigrazione che potremmo definire sedentaria”. La trasformazione del fenomeno è visibile nella scelta di molti immigrati – circa 10mila – di comprare casa in Italia. Una casa e un’attività propria sono indice di benessere e di miglioramento in termini di posizione sociale per gli immigrati, che una volta in Italia lavorano come operai nelle fabbriche per poi mettrsi in proprio, avviando negozi di alimentari o call center e internet point.
Nonostante le grandi differenze e i tanti pregiudizi e stereotipi, capita che che la cultura di un Paese così lontano possa incontrare e integrarsi con la cultura del Paese ospitante. E’ successo l’estate scorsa a Bologna, quando la nazionale italiana Under 15 si è aggiudicata gli Europei di cricket. Una vittoria inattesa, non solo perché il cricket non è tra gli sport preferiti dai giovani italiani, ma anche e soprattutto perché a tenere alto il nome dell’Italia è stata una squadra cosmopolita. Degli undici giocatori scesi in campo, uno solo è italiano, gli altri sono figli di immigrati provenienti da Pakistan. India, Sri Lanka e Bangladesh.
A favorire il dialogo tra culture e l’incontro tra le comunità, ci sono i numerosi enti, associazioni e persone impegnati in attività volte a promuovere la conoscenza reciproca e un processo di integrazione che non richieda di rinunciare alla propria identità.
Ejaz Ahmad, arrivato in Italia con una laurea in comunicazione di massa conseguita all’università di Lahore ed esperienza giornalistica, crede nella possibilità di creare una società multietnica basata sul dialogo, in cui le differenze siano percepite come una ricchezza e non una barriera.
Per diffondere la cultura, le tradizioni e la storia pakistane, incontra studenti di scuole e università e partecipa a momenti di incontro e confronto. Per facilitare la conoscenza della cultura italiana e la riscoperta della proprio cultura da parte degli immigrati pakistani, ha anche fondato un mensile in lingua urdu, “Azad”, che in italiano significa “Libero”. Pubblicato in 5000 copie grazie a Western Union, arriva in tutte le comunità pakistane in Italia, con notizie dal Pakistan, indicazioni utili per gli immigrati in Italia, informazioni sull’immigrazione e sulla realtà pakistana in Italia.
Come conferma il giornalista, membro della Consulta Islamica del Ministero dell’interno, anche il rapporto tra Islam e istituzioni italiane gioca un ruolo importante, poiché “la forma di aggregazione più comune tra gli immigrati pakistani è quella religiosa, sotto la bandiera dell’Islam”.
Vino e donne: un pericolo per i giovani immigrati
Se in Italia sono tanti i pregiudizi nei confronti degli immigrati, soprattutto di fede musulmana, anche in Pakistan esistono degli stereotipi riguardo l’Italia e gli italiani, alimentati dai media e dal racconto di chi ha lasciato il proprio Paese per cercare un futuro migliore.
Tra le idee più diffuse vi è quella che le donne e l’alcol rappresentino un pericolo per i giovani immigrati. Anche chi non è mai stato in Italia, pensa che le donne italiane usino gli alcolici “per adescare i giovani immigrati e intrappolarli in tranelli amorosi”.
“Quando mio figlio è partito per l’Italia, pensavo che non l’avrei più rivisto. Avevo paura che si sarebbe rovinato con il vino e con le donne”, racconta Khan, 62 anni, proprietario di un piccolo negozio a Chakwal, 120 km a sud Islamabad. Quindici anni fa si è visto costretto a lasciare che il figlio Aslam partisse, affascinato dai racconti dello zio.
Le visite regolari e le somme inviate mensilmente hanno convinto Khan che i suoi timori erano infondati e oggi è tranquillo all’idea che i nipoti possano un giorno seguire le orme dello zio che, arrivato in Italia con documenti falsi e “pagando una fortuna”, ora ha un regolare permesso di soggiorno.
Sono altri i motivi di preoccupazione oggi. “I media parlano della situazione difficile per i musulmani in Europa e in America”, aggiunge Akhtar, fratello maggiore di Aslam, che segue attentamente lo sviluppo della situazione sui media. Nonostante il clima di tensione che si respira anche in Pakistan, dove la barba lunga può essere motivo di accertamenti e fermi da pare delle forze di sicurezza, pensa che la situazione possa migliorare, consentendo alle persone di culture diverse di interagire. “Il problema non sono le persone, ma i politici”, afferma con convinzione.
E se le persone possono incontrarsi, parlare, condividere esperienze, allora l’immigrazione può diventare un ponte fra culture e gli immigrati possono diventare “ambasciatori” della propria cultura in Italia, e della cultura italiana in Pakistan. Senza dimenticare un detto popolare, noto fra chi lascia il proprio Paese per costruirsi un futuro altrove: “rispetta e sarai rispettato”.
*con i contributo di Waqar Jillani (Pakistan)

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