Sarà Cortina d’Ampezzo la prima tappa della mostra che vuole rievocare i diversi passaggi – dal 1918 al 1954 – della presenza del famoso scrittore americano in regione. Dal 20 dicembre al 24 gennaio, al Municipio Vecchio, la Regina delle Dolomiti ricorderà quel mitico soggiorno ampezzano, tra il 1948 e il 1950. Il 23 maggio del 1918 Ernest Hemingway parte da New York, arriva in Francia e dopo qualche giorno raggiunge il Veneto, conoscendo l’inferno della Grande Guerra. Ritorna in regione, per alcuni mesi, nel settembre del 1948, questa volta a Cortina. Durante il suo soggiorno ampezzano, risiede presso l’Hotel Concordia, è assiduo frequentatore del bar dell’Hotel Posta e invita Fernanda Pivano. Dopo qualche settimana trascorsa tra Venezia e Torcello, nella prima metà di dicembre ritorna a Cortina e nell’affittata Villa Aprile trascorre il Capodanno con Mary e Pivano. Nel 1997 Fernanda Pivano così ricordava il suo arrivo a Cortina per trascorrere insieme a Hemingway quel Capodanno del 1948: «Bisogna risalire al 1948 a Cortina, quando c’era ancora il trenino delle Dolomiti, e si stava lì non ricordo quante ore col fischio della favolosa locomotiva-giocattolo che suonava ogni tanto e dal finestrino si vedevano sbuffi di fumo candido come nelle favole, così belli da farsi perdonare, loro e il fischio, che non ci lasciavan dormire dopo il viaggio quasi eroico nel treno senza finestrini e senza orario che ci aveva portato lì dopo un viaggio durato dall’alba al tramonto. Il tramonto lì sul fianco della montagna era, o forse sembrava, bellissimo guardato con l’emozione che mi accompagnava verso il mio primo incontro con Hemingway. E quando ero arrivata, coperta di fuliggine come uno spazzacamino, e lo avevo visto lì proprio lui, con le braccia spalancate per abbracciarmi, mi era parso che la favola del viaggio fosse finita. Invece era appena incominciata. Perché Hemingway stava affittando la villa della famiglia Aprile, una casa minuscola e ridente semi – montanara ai bordi della città, con una vista stupenda, circondata da grandi pendii erbosi presto coperti di neve, con una piccola camera a due letti per gli ospiti, una camera matrimoniale, la cameretta dove Hemingway dormiva e lavorava, e un soggiorno spesso invaso da amici e curiosi. Hemingway si alzava alle cinque e girava per casa coi bermuda infilati alla meglio, ancora con la visiera bianca tenuta per difendersi dalle luci forti quando leggeva la notte, e subito cominciava a battere qualche riga sulla piccola portatile tedesca che gli ha fatto scrivere alcuni dei suoi libri più importanti, poi si allontanava e guardava a due passi di distanza quello che aveva scritto, come fanno certi pittori coi quadri; ma il più delle volte leggeva quello che aveva scritto il giorno prima e buttava in un cestino che teneva lì accanto decine di pagine. Quelle ore, dalle cinque alle undici, erano le più belle per chi poteva stargli vicino: si scopriva il suo modo di scrivere, il suo modo di pensare, il suo modo di soffrire. In quei momenti era disarmato, rispondeva senza sarcasmi, parlava della realtà con una pena infinita. Intanto Mary, la moglie geisha-segretaria, mandava avanti la casa. Aveva due donne ad aiutarla: una era Maria, la figlia dei loro vicini di casa austriaci lì sulla loro collina, che portava il latte delle sue mucche imprigionate tutto l’inverno in una stalla, burro senza sale e calzini fatti a maglia con la lana delle sue pecore. L’altra era Eliza di Grande, che tutti chiamavano Liza, che aveva fatto a piedi quaranta chilometri per chiedere di essere assunta. Poi c’era lo chauffeur Ricardo, che ogni tanto cercava, senza successo, di fare il latin lover con Mary. Costei lasciava fare le pulizie a loro; per sé teneva il compito di vuotare il cesto con gli scarti di Hemingway e quello, quando ne aveva voglia, di cucinare. La sua specialità erano le torte al limone, ma cucinava anche, quasi ogni giorno, la bistecca al forno: era l’unica capace di accontentare Hemingway, che comunque fosse la bistecca ne masticava adagio il primo boccone e poi diceva con grande solennità: “Very nice, Mary”, suscitando ogni volta in Mary un sorriso molto orgoglioso. La vigilia di quel Capodanno, mentre Hemingway leggeva i giornali americani appena arrivati con un sarcasmo più tagliente di qualsiasi lama, Mary, Maria e Liza avevano incominciato le discussioni per il menu, o meglio per uno spuntino, perchè poi la cena si sarebbe fatta in un grande albergo. Liza si era messa a fare “la pasta in casa”, di cui era indiscussa maestra: la rotolava sul piano di marmo di cucina, aggiungendo spesso uova e sugo di spinaci, e poi tagliandola fine o larga, a seconda come le suggeriva l’estro. Durante lo spuntino, mentre si consumava una brocca di “Bloody Mary” e mentre le bottiglie si vuotavano rapidamente, parlavamo del problema degli alberi in America e del problema politico in Cina. Si parlava anche del più importante regalo che Hemingway aveva avuto per Natale, l’acquisto fatto dalla “20th Century Fox” del racconto “My Old Man” (Il mio vecchio) per 45 mila dollari. E si parlava di libri che stava leggendo, “The Young Lions” (I giovani leoni) di Irwin Shaw (lo scrittore che a Parigi, durante la guerra, lo aveva presentato a Mary) e del ritratto pubblicato da Malcolm Cowley su Life, il primo approvato e permesso da Hemingway. Queste erano le chiacchiere di quello spuntino, con un Hemingway rilassato e ancora felice con Mary. Poi, tutti vestiti a festa, avevamo raggiunto il grande albergo per il cenone. Lì Hemingway era stato accolto come al solito da una gran folla, meravigliosamente non ubriaco, gentile con tutti, soprattutto con le persone poco famose. A un certo punto mi ero allontanata per andare a telefonare a mia madre. Hemingway mi aveva seguito, un po’ curioso e molto protettivo come sempre, per vedere cosa facevo e, quando ha sentito che parlavo con la mamma, ha preso la cornetta e ha voluto anche lui farle gli auguri, cosa che mi ha molto commossa perchè lui detestava il telefono; le ha detto qualche frase gentile, poi è stato riassorbito dalla sua folla di ammiratori e dalle affettuosità di Mary, che ancora era in grande armonia con lui. Ma la burrasca stava per scoppiare. All’inizio di quel dicembre Hemingway era andato a caccia di pernici con il conte Carlo Kechler, fratello del suo grande amico Federico, in una riserva di caccia del barone Nanyuki Franchetti, e la sola donna presente era la bellissima baronessa diciannovenne Adriana Ivancich, che aveva aspettato i cacciatori vicino al fuoco della cucina. Forse Adriana stava lì ad aspettare Hemingway per conoscerlo; Hemingway si era innamorato a prima vista e l’aveva sedotta (se ce ne fosse stato bisogno) spezzando il suo pettine e dandogliene una metà. Ma questo era avvenuto prima di quelle feste, e stava nel cuore di Hemingway ma non nella sua conversazione a tavola, né con la brocca di “Bloody Mary”, né con il fiume di Dom Perignon della festa».
(dal Corriere della Sera, 31 dicembre 1997)
È una vivida testimonianza del rapporto speciale intessuto dal romanziere con la conca ampezzana che, insieme a Venezia e Cuba, rappresenta uno dei luoghi mitici dell’immaginario hemingwayano. Nel 1950, infatti, Hemingway avrà modo di soggiornare nuovamente a Cortina presso l’Hotel de la Poste, dove lavorò alla stesura definitiva del nuovo romanzo “Di là dal fiume e tra gli alberi”, ambientato proprio nei luoghi veneti che lo scrittore americano aveva conosciuto.
Un progetto ambizioso quello presentato dalla Venice International University e sostenuto dalla Regione Veneto, che prevede di toccare i principali luoghi veneti conosciuti da Hemingway, cominciando proprio da Cortina nel 2009. Il grande autore statunitense diventerà così il testimonial d’eccezione del territorio veneto con i suoi paesaggi, i suoi monumenti, i suoi prodotti della terra e le sue abitudini di vita.
Mostra a cura di Gianni Moriani, Rosella Mamoli Zorzi, Graziano Arici.
La Mostra resterà aperta al Municipio Vecchio
dal 20 dicembre 2009 al 24 gennaio 2010.
Orari: fino al 10 gennaio 10.00/12.30 – 15.00/19.30; dall’11 gennaio 14.00/19.30.
Nella foto: Ernest Hemingway e Fernanda Pivano durante un tour nelle Dolomiti Fondazione Benetton Studi Ricerche 12 ottobre 1948 Fotografia di Ettore Sottsass