Sono finiti i tempi in cui anche i bellunesi sceglievano di mettersi in proprio e qualche negozio o piccola attività nasceva ogni giorno. Complice la grande crescita di qualche gruppo industriale e il forte decremento nella natalità, alla voglia di mettersi in proprio è subentrata la ricerca del posto fisso in qualche grande fabbrica e l’economia della provincia si è lentamente impoverita. “In soli due anni -dice Walter Capraro, direttore dell’Unione Artigiani e Piccola Industria – le imprese individuali, vale a dire il primo livello del fare impresa, sono scese da 9.922 a 9.624, con una perdita secca di 298 unità concentrate soprattutto nel commercio, nelle costruzioni e nel manifatturiero. In termini percentuali significa un calo del 3,7%, inferiore alla media veneta (-4,7%), ma comunque pesante.”La voglia – e in qualche caso, la necessità – di mettersi in proprio l’hanno mantenuta, invece, i cittadini extracomunitari, che spesso vanno a sostituire le unità commerciali e produttive abbandonate dai bellunesi. “Erano 688 a giugno del 2007 – sottolinea Capraro – sono 730 oggi. In due anni sono cresciuti del 6,1% e, adesso, rappresentano il 7,6% del totale delle imprese individuali. Per una Provincia che da sempre è ai margini dei flussi di immigrazione, sono numeri di una certa rilevanza, perché dimostrano che anche la vitalità imprenditoriale – e non solo l’assistenza ai nostri anziani – è sempre più nelle mani dei cittadini non comunitari. Se consideriamo che questo indicatore è inserito tra quelli che misurano lo sviluppo di un territorio, vuol dire che i bellunesi stanno abdicando a un ruolo importante per il loro futuro.” In periodi di congiuntura difficile, il lavoro autonomo ha svolto spesso la funzione di serbatoio per lavoratori che avevano perso il posto di lavoro e, per necessità, avviavano piccole iniziative, alcune delle quali duravano anche oltre la crisi. “Oggi neanche questo si sta verificando – conclude il Direttore dell’UAPI – e il lavoro autonomo ha perso la sua funzione di ammortizzatore anticiclico, sostituito, nel bene e nel male, da una famiglia che include spesso uno o più pensionati. E’ un modo di reagire che deve preoccupare tutti, perché dimostra come stiamo pericolosamente accettando di programmare l’attività lavorativa solo nel breve periodo e usando gli strumenti più comodi, come le rendite. Bisogna che i bellunesi credano di più nelle loro capacità di fare impresa, ma serve anche le istituzioni mettano in campo tutti i sostegni necessari per scongiurare un impoverimento del tessuto imprenditoriale che finirebbe col pregiudicare seriamente il nostro futuro economico e sociale.”